martedì 27 dicembre 2011

la recensione di chiedimi l'amicizia uscita sulla pagina della cultura de il messaggero. scritta da pietro piovani


copia e incolla da il messaggero

di PIETRO PIOVANI
SI INTITOLA Chiedimi l’amicizia, ma non è un libro su Facebook. Semmai è un libro con Facebook, nel senso che per i personaggi raccontati da Mauro Evangelisti il social network è come il telefono o l’automobile, uno strumento da usare quando serve e quando se ne ha voglia senza starne tanto a parlare. Chiedimi l’amicizia (135 pagine, 14 , CartaCanta editore) mette in scena il nostro presente, concentrandosi in particolare su quell’ampia fascia di popolazione compresa tra i venti e i trentacinque anni di età e che per convenzione ci siamo abituati a chiamare «i giovani».
Già nel romanzo d’esordio, Johnny Nuovo, Evangelisti aveva mostrato una certa abilità nello scompaginare i momenti del racconto. Lì si divertiva a giocare con il prima e il dopo, questa volta preferisce muoversi a zig zag non nel tempo, bensì nella geografia: Roma, Bangkok, la Romagna, Ibiza, Viterbo, New York, Amsterdam, lo Sri Lanka, gli scenari si alternano nei trenta racconti brevi di cui si compone il libro.
Le singole vicende viaggiano in parallelo ma di quando in quando si intersecano fino a creare un romanzo corale pieno di storie e di ambienti. Ma per essere un romanzo corale Chiedimi l’amicizia è incredibilmente conciso. Evangelisti è uno scrittore di poche parole che ama i fatti molto più delle descrizioni e sa riassumere un intero dialogo in una battuta. Così, in appena 130 pagine, incontriamo ragazze che di notte si impasticcano in discoteca e di giorno fanno volontariato in parrocchia, studentesse che si prostituiscono per noia, giovani preti che fanno l’amore, zingari che si innamorano della loro derubata, padri che tengono un diario segreto, figli che li spiano, figlie che progettano il parricidio. Una folla di creature accomunate solo dal sentimento della solitudine. «Siamo tutti scollegati» sostiene Giovanni, il personaggio più cinico. La sua teoria è che gli esseri umani sono condannati a non capirsi, mai. E se un uomo e una donna riescono a vivere felici insieme per 30 o 40 anni è perché «l’interpretazione che ognuno dei due dà di ciò che succede non entra in conflittualità con quella dell’altro»; l’armonia di coppia è solo un equivoco e una botta di fortuna. Ma al destino della solitudine ci si può ribellare, magari con l’aiuto di Facebook. Basta chiedersi l’amicizia, tenersi in contatto, e qualche volta incontrarsi di persona. Insomma basta volerlo.

venerdì 9 dicembre 2011

la recensione di chiedimi l'amicizia sulla rivista leggere tutti

copia e incolla da leggere tutti


Generazione Facebook
di Marco Piscitello

Sono tante le generazioni che lungo i decenni hanno trovato nome e definizione grazie alla letteratura: si va dalla “perduta” alla “x” alla “non generation”, solo per fare qualche esempio. Con il suo ultimo libro “Chiedimi l’amicizia” (CartaCanta Editore) Mauro Evangelisti comincia forse a tracciare il ritratto dell’ultima: la generazione social. ‘Chiedimi l’amicizia’ è infatti ormai un’espressione gergale nel linguaggio comune dei giovani navigatori del web, e riporta al nuovo modo di socializzare che dalla seconda metà degli anni zero è rappresentato da Facebook. Ma è allo stesso tempo uno slang ambiguo, capace di raffigurare, in termini più strettamente letterari, anche un po’ il suo contrario: una richiesta, cioè, solo superficiale e mai davvero intima e seriamente amicale di entrare in contatto con il prossimo. Dopo aver vinto il Premio Carver con “Johnny il nuovo”, Evangelisti si cimenta in questo suo secondo libro con una forma di narrazione frammentata, strutturando la trama in trenta capitoli che potrebbero essere anche singoli racconti conclusi (e lasciando forse così intendere una sorta di ideale separazione tra i protagonisti della storia, che può leggersi come rappresentazione stilistica della loro solitudine). Questo romanzo a flash è infatti anche un libro generazionale, che racconta di ragazzi fotografati nell’età compresa tra i 20 e i 30 anni in cui si comincia a diventare uomini e a perdere le rassicuranti certezze dell’incondizionata solidarietà adolescenziale. Sandro e Giovanni, i due amici che più di tutti Evangelisti sceglie come protagonisti, si perdono nel primo capitolo per poi ritrovarsi davvero solo nell’ultimo, come se l’autore volesse indicare un percorso di crescita che passa forzatamente dalla sofferenza del distacco per trasformare la giovinezza in maturità. Novità assoluta, dal punto di vista narrativo, è la tesi che anche i freddi social network possano comunque rappresentare un’estrema ancora di salvezza nel deserto arido delle relazioni del terzo millennio. Un modo disperato, ma fortunatamente efficace, di ritrovare almeno un po’ di calore umano.
L’idea di una storia unica, e corale, che trova continuità nel susseguirsi di episodi prende forma nella scrittura di Evangelisti in un sovrapporsi di generi: la non fiction (più d’uno lo spunto attinto dalla cronaca o da una sua plausibile imitazione) si mischia a lampi di on the road, il minimalismo intimista al post minimalismo allucinato delle droghe (viste ormai come elementi di una drammatica quotidianità) e del sesso mercenario praticato per pagarsi lo shopping. “Chiedimi l’amicizia” non è un libro su internet, ma su come internet sta modificando, non sempre in negativo, anche i nostri comportamenti più intimi. Chiedimi l’amicizia è una disperata richiesta d’aiuto che contiene, insomma, ancora tanta speranza.

Mauro Evangelisti
Chiedimi l’amicizia
CartaCanta Editore
Pagg. 133, euro 14,00

sabato 3 dicembre 2011

ancora una recensione di chiedimi l'amicizia

copia e incolla da ilrompiblog.com

di Damiano Celestini
Di Mauro Evangelisti vi ho già parlato qualche tempo fa, quando ho recensito il suo romanzo Johnny Nuovo. Da qualche settimana è in libreria un nuovo libro del giornalista del Messaggero dal titolo “Chiedimi l'amicizia”. Per chi ha letto Johnny Nuovo occorre un avvertimento: addentrandovi in questo nuovo libro correte il rischio di ritrovarvi descritti i vostri sentimenti più cupi.

Ancora una volta Mauro Evangelisti riesce nella, secondo me, non facile impresa di racchiudere un piccolo mondo con tanti attori nello spazio di poche pagine: 133.
Per chi, come il sottoscritto, durante l'università si è ritrovato ad affrontare il Teorema dei sei gradi di separazione secondo cui qualunque persona può essere collegata a qualunque altra persona attraverso una catena di conoscenze con non più di cinque intermediari, è naturale averci pensato sin dalle prime pagine.


Perché, in fondo, quel che fanno i social network come Facebook è proprio questo. Bene, a cominciare dal campetto di basket da dove comincia l'avventura dei due protagonisti, Sandro e Giovanni, si dipana una una rete di altri personaggi le cui vite si intrecciano quasi sempre per caso e in modo a volte inaspettato.

Vite diverse, età diverse, persino gusti sessuali diversi ma tutte queste pedine mosse con maestria da Evangelisti hanno un comune denominatore: la solitudine.

Che siano giovani, vecchi, gay o etero tutti i personaggi condividono quella sensazione di essere rinchiusi in una bolla invisibile di insoddisfazione mista ad insicurezza che li porta ad un distacco in alcuni casi inumano nei confronti degli altri. La bolla, però, non è indistruttibile. Si incrina, vacilla sotto i colpi di un'esigenza di socialità quasi istintiva che sfocia anche nell'uso di Facebook ma soprattutto nell'affetto che molti di loro si ritrovano a provare per un padre, un amico, una fidanzata . Sentimenti che li trovano ingenuamente impreparati ma ai quali sembrano abituarsi col passare del tempo.

E poi ci sono Giovanni e Sandro che da quel campetto di basket hanno intrapreso strade diverse ma in fin dei conti non proprio così opposte. Il perché lo scoprirete scorrendo le pagine di “Chiedimi l'amicizia”.


http://www.ilrompiblog.com/2011/12/chiedimi-lamicizia-mauro-evangelisti.html#more

c'era una volta la tredicesima

copia e incolla da ilmessaggero.it

di Mauro Evangelisti
Primo dicembre, comincia la corsa degli acquisti di Natale. Comincia? I commercianti - soprattutto i piccoli, perché le grandi catene, spesso straniere, continuano ad guadagnare posizioni - sperano in una boccata di ossigeno, al termine di un anno in cui la freccia delle vendite ha cominciato a scavare, dopo avere toccato il fondo. Ma di voglia di spendere - anche nel caso ce ne fosse la possibilità - ce n'è davvero poca, assediati da previsioni economiche in cui quella dei Maya per il 2012 in fondo è la più rassicurante. Poi, certo, resta il grande mistero sul perché la classe media spenda sempre meno per l'abbigliamento - il settore maggiormente in sofferenza - e sempre più per l'hi-tech. Sembra quasi che indossare il giaccone dell'anno scorso sia tutto sommato una scelta praticabile, ma usare lo smartphone di sei mesi fa sia una sacrificio insopportabile. Insomma, restiamo in casa perché non abbiamo niente da mettere, però almeno ci guardiamo un film sul nuovo televisore 3d.

targhe alterne, opinioni alterne

copia e incolla da ilmessaggero.it


di Mauro Evangelisti
ROMA - Ma guarda chi si rivede: le vecchie care targhe alterne a Roma. Ecco questa è un'altra di quelle storie che dimostra che lo smog (come la sicurezza) non ha colore politico, che ciò che si dice quando si è all'opposizione è diviso da un male bello grande quando il destino ti porta a governare. Il calcolo quotidiano dei livelli delle polvere sottili era il sudoku immancabile della vecchia giunta Veltroni. E quando il rompicapo dava risultati negativi non si poteva fare altro che applicare la legge: prendere provvedimenti che, per la verità, secondo alcuni esperti servono più a evitare una denuncia a chi ci amministra che a incidere realmente sullo smog. Fra queste contromisure, le targhe alterne. Sembra ancora di sentirli coloro che stavano all'opposizione qualche anno fa che urlavano «non servono a nulla», «sono una presa in giro», «sono una persecuzione per i cittadini», «sono una scelta ideologica». Ora che che i ruoli si sono invertiti e che le condizioni climatiche hanno rialzato i livelli delle polveri sottili cosa hanno escogitato in Campidoglio? Le targhe alterne. Come alterne sono le tesi che si sostengono quando si governa e quando si fa minoranza. E questo, ovviamente, vale per entrambe le parti.

sabato 19 novembre 2011

altra intensa recensione per chiedimi l'amicizia

copia e incolla da noiroma.it


IL NUOVO ROMANZO DI MAURO EVANGELISTI

di Leonarda Manna

Chiedimi l’amicizia è il titolo del secondo romanzo di Mauro Evangelisti, giornalista del Messaggero di Roma, attualmente alla redazione di cronaca. I protagonisti del suo libro sono Giovanni, Sandro, Lisa, Manuel e Barbara. Hanno fra i 20 e i 30 anni, comunicano preferibilmente attraverso la tecnologia, credono nell’amicizia e hanno paura di essere traditi. Sbattono il muso in tante situazioni convinti di avere il controllo su di esse.

Malgrado tutto, amano la vita e partono all’assalto con tutta l’energia che la gioventù porta con sé. Sullo sfondo un mondo fatto di gioie, dolori, fallimenti e cadute.

Mauro Evangelisti ha scritto una storia appassionante e contemporanea. I giovani sono i protagonisti, indiscussi, delle pagine di un libro che si legge in maniera scorrevole, tutto d’un fiato. Le loro vite, incasinate, apparentemente sconclusionate, sono fili che compongono la trama di una società dai rapporti difficili, da convenzioni saltate, da amicizie vecchie e nuove, da nuove tecnologie e nuove solitudini. Una trama dalla quale è facile scappare ma nella quale è anche possibile ritornare.

Le storie si intrecciano. A tratti sembra di poter identificare un personaggio con il vicino di casa, il compagno di scuola, il protagonista di un fatto di cronaca. Una sorta di realtà romanzata che può essere ovunque, non c’è un luogo specifico, perché attraverso le nuove tecnologie lo spazio e il tempo non hanno più lo stesso valore.

Gli “adulti” hanno un ruolo marginale nel romanzo. Fanno capolino nel racconto ma non intervengono nella struttura narrativa. Una caratteristica unisce però le due realtà: la ricerca della felicità. Entrambi aspirano a un momento di vera gioia. Anche se per i giovani questa sembra a portata di mano quando si cerca il mix giusto abusando di droghe e alcol o offrendo al miglior offerente il proprio corpo per ottenere facili guadagni.

“Chiedimi l’amicizia” non è un romanzo di denuncia, piuttosto un racconto affettuoso che spinge l’autore a far emergere, alla fine di ognuno dei trenta capitoli del libro, il lato buono di ogni protagonista, la sua innata capacità di trovare il bene anche nelle cose brutte. E allora tutto sembra tornare al suo posto in attesa della prossima storia.

Mauro Evangelisti, classe 1967, giornalista, vive a Roma e lavora presso il quotidiano Il Messaggero. Il suo primo romanzo “Johnny Nuovo - Il ragazzo che non conosceva il mondo” (Carta Canta, 2010) ha vinto il premio Carver.

CHIEDIMI L’AMICIZIA Mauro Evangelisti – Carta Canta editore

giovedì 3 novembre 2011

Interessante recensione. Molto bella

Copia e incolla da ephemerides.it
Il libro del giornalista Mauro Evangelisti
Chiedimi l'amicizia

Chiedimi l'amicizia, una fotografia, attenta puntuale scattata su una generazione: quella dei nuovi giovani,dei ventenni che dai rotocalchi dei giornali si trasformano in personaggi di un libro.La penna di Mauro Evangelisti, scrittore e giornalista del quotidiano ' Il Messaggero' scava nel loro animo e racconta di paure, di sentimenti di emozioni. Ogni personaggio potrebbe essere stato una notizia riportata da un quotidiano:il figlio di un illustre sociologo che la notte all'insaputa dei genitori si diverte a bruciare le baracche dei rom, la ventenne di provincia messa in cinta dal giovane prete peruviano della sua stessa parrocchia,la ragazza con il dono naturale della bellezza che vende il proprio corpo, negli alberghi e nelle hot chat, agli uomini per mantenere sia se stessa che sua madre.
Questi i personaggi del libro che ,attraverso vari intrecci, tessono tutti insieme la stessa storia, danno vita ad un romanzo corale dove ogni voce si aggiunge a quella precedente fino a divenire un grande unico grido.
Hanno fra i 22 ed i 30 anni, abusano di droghe, comunicano esclusivamente tramite i social network, a tratti sembrano giovani-vecchi con tutto il peso delle difficoltà della vita addosso, a tratti bambini inconsapevoli disposti a rischiare la vita, abusando di droghe ed alcol, alla ricerca della serata perfetta ' quella con la miscela giusta'.
Un libro romanzo ma quasi una denuncia, quasi un' inchiesta perché punta il dito contro l'universo dei grandi, che vanno di corsa che non seguono i propri figli o peggio gli scaricano addosso le proprie frustrazioni, i ruoli sono sfumati non si capisce chi è il genitore chi è l'adulto. I protagonisti, ventenni, comunicano fra di loro solo attraverso la mediazione della tecnologia, nella vita reale resta il ruolo la maschera non ci si concede a confronti, i veri scambi avvengono solo nelle chat, fra tutte facebook il protagonista indiscusso.
Cresciuti con il televisore ed il computer si ha meno paura di essere se stessi nell'intimità della propria camera si batte sulla tastiera e le lettere una dietro l'altra aiutano a descrivere ciò che uno ha dentro.
Giovani che più che agire sono agiti, non hanno il controllo sugli eventi, non hanno consapevolezza delle proprie azioni, e come dei replicanti alla blade runner non sanno essere felici, tuttavia fanno il loro percorso, aiutati dall'istinto ed anche dalla fortuna, trovano il modo di cavarsela e crescere. Questo è il vero colpo di scena: giovani, violenti, drogati, ragazzine che senza consapevolezza della propria sessualità si fanno fotografare nude o si sposano senza amare realmente, sono fondamentalmente soli, ma anche senza l'aiuto di nessuno, senza modelli credibili ai quali ispirarsi danno una grande lezione al mondo adulto, perché ce la fanno, nonostante tutto.
Chiedimi l'amicizia perchè l'amicizia oggi è data da una notifica sullo schermo di un computer e non più da una stretta di mano.
Evangelisti non li lascia soli questi nuovi eroi che resistono alla società dell'indifferenza dove nulla attira più l'attenzione, l'autore li racconta , li capisce e li assolve, dando loro la via d'uscita: affida, infatti, ad ogni personaggio la capacità di tramutare il male le cose brutte in bene. Chiedimi l'amicizia è un romanzo finalmente dalla parte dei giovani, del popolo di facebook, di quelli che usano le pasticche e le perversioni per sconfiggere la noia per esorcizzare la paure. Ogni personaggio grida al mondo il proprio diritto ad esserci affinché il mondo intero se accorga finalmente. Un romanzo che senza retorica spinge tutti a riflettere.


L'autore: Mauro Evangelisti classe 1967, giornalista vive a Roma, e lavora presso il quotidiano il messaggero, ha gia pubblicato i libri Carrettera Central ( con il collega Fabio fattore nel 1996) La marcia su Cuba ( nel 1999) ed il figlio di fidel fra rivoluciòn e Disneyword ( nel 2000) per l'editore Stampa Alternativa. Il suo primo romanzo Jonny Nuovo, il ragazzo che non conosceva il mondo ( CartaCanta , 2010) ha vinto il premio Carnaver, il suo indirizzo email è: mauroevangelisti@live.it il blog: wwwmauroe.blogspot.com


Cristina Volpe Rinonapoli

mercoledì 2 novembre 2011

l'approfondimento di indiana jones

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di Mauro Evangelisti
Dal sito della Rai: «In occasione del trentennale del film I predatori dell’Arca perduta, Rai 2 propone, nella prima serata del giovedì il ciclo completo della saga ideata da George Lucas e diretta da Steven Spielberg». Elettrizzante no? Un bel film del 1989, visto e rivisto, domani sera su Raidue. Wow. Non c’è dubbio, raddoppierà gli ascolti che faceva Santoro nel rituale del giovedì sera. Se serviva il segnale di un certo disorientamento, eccolo. Nella serata in cui Santoro prepara l’evento, il ritorno su decine di tv, su Sky, su Youtube, su Facebook, sui videocitofoni, alla Rai non hanno uno scatto di orgoglio. Non preparano una risposta forte. No, si affidano alla vecchia pizza di un film di 22 anni fa. Non dimostrano che il programma di informazione di giovedì di Santoro è stato chiuso per farne uno migliore, più equilibrato, che raccolga più pubblicità e quindi aiuti a fare utili. Non provano a smentire la tesi che Santoro è stato annullato perché richiesto (come si ascolta in mille intercettazioni) dal grande capo del Governo che è casualmente il grande capo del principale concorrente. No: a Raidue, si affidano - wow - all’«Ultima crociata» di Harrison Ford. Certo, giovedì della settimana scorsa «Indiana Jones e il tempio maledetto» fece 2.170.000 milioni di spettatori. Share sotto l’8 per cento. Un terzo di quanti seguivano normalmente Santoro. Ma magari è stato solo un caso sfortunato. Aò, magari hanno ragione a Raidue, con quello che sta succedendo all’economia italiana non serve un programma di approfondimento. No, magari sta scoppiando l’Indianajonesmania e non ce ne eravamo accorti.

d,4,1, c,4,7,7,0

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di Mauro Evangelisti
Allora ditelo, ce l’avete con Alemanno il moralizzatore. Partiamo da un serie oscura (apparentemente) di lettere e cifre: d,4,1 e c,4,7,7,0. Roma è piena di manifesti pubblicitari, molto grandi, che riportano questa strana formula che in realtà non è nuovissima. I più svegli avranno capito che con l’aggiunta di un punto esclamativo va a formare un richiamo, un incitamento non proprio elegante. Potremmo tradurlo, per non allarmare nessuno, in «dai perbacco!». Si tratta della campagna promozionale del film de I Soliti idioti, tratto da una serie tv cult (i protagonisti sono Francesco Mandelli e Fabrizio Biggio) che si ama o si odia, si ride moltissimo o li si manda a quel paese. Ma alcuni loro sketch sono geniali e una delle frasi ricorrenti, in un rapporto padre-figlio non proprio ortodosso, prevede l’uso ricorrente di quell’incoraggiamento volgare. Il manifesto sarà di certo anche in altre città, ma per il sindaco di Roma è una provocazione in più, visto che proprio lui aveva lanciato la campagna contro i cartelli pubblicitari che giudica volgari. Come quello di una ditta di abbigliamento che richiamava le escort. E si sa quanto nel Pdl siano sensibili al tema delle escort. Chissà se farà rimuovere anche questi (d,4,1 c,4,7,7,0!).

giovedì 27 ottobre 2011

mercoledì 26 ottobre 2011

La seconda recensione di Chiedimi l'amicizia

copia e incolla da ilmessaggero.it

Chiedimi l'amicizia, come uscire
dal vicolo cieco della vita quotidiana


di Fabio Fattore
ROMA - Chiedimi l’amicizia: un’espressione di uso corrente, nel mondo di facebook, al punto di avere perduto qualsiasi legame con il significato originario della parola amicizia. Mauro Evangelisti, nel suo nuovo romanzo Chiedimi l’amicizia (Carta Canta editore, 160 pp, 14 euro) cerca di restituirle quel significato e si spinge oltre: fino al senso dell’amicizia, dell’amore o almeno di un contatto vero con il prossimo. Cose difficili da cercare, secondo alcuni dei suoi personaggi addirittura impossibili, a dispetto delle nuove tecnologie che sembrano avere semplificato tutto: annullando distanze spaziali (sei in vacanza dall’altra parte del mondo e continui a comunicare in tempo reale con chi hai lasciato in Italia) e anche temporali (con i social network riesci a trovare chi avevi perso di vista da una vita e a ristabilire un contatto, magari senza pensare che se vi eravate persi di vista poteva esserci anche un buon motivo). Cambiano gli strumenti, gli scenari, ma il problema di fondo, quello della comunicazione - tra cervelli o tra cuori non fa poi differenza - resta lo stesso.

Evangelisti, da buon giornalista che non è nuovo alla narrativa e alla saggistica di qualità e che con il romanzo Johnny nuovo del 2010 ha anche vinto il premio Carver, sa trattare tutto questo in una maniera leggera, ironica e capace di catturare sempre l’attenzione del lettore. Il romanzo si articola in trenta capitoli: ciascuno, però, ha una sua autonomia, anche se poi i personaggi che li popolano sono legati tra loro e le singole vite finiscono per intrecciarsi. Sono giovani tra i venti e i trent’anni, amici di vecchia o nuova data, gente che si è persa per strada o che si è ritrovata. Vivono tra Roma, il Lazio, la Romagna o qualsiasi altra parte del mondo dove può portarli un viaggio o una vacanza, da Ibiza a Hong Kong: le distanze non contano per chi popola il mondo parallelo di facebook, ma i luoghi sì, quelli contano, perché ci ricordano che esiste anche un mondo reale, fatto di problemi quotidiani, famiglie disastrate, memorie dell’infanzia, legami con chi non c’è più.

La vita reale sa essere spietata e beffarda, come insegnano i fatti di cronaca: quelli che leggiamo sui giornali o vediamo in tv - dalla stessa distanza di sicurezza con cui comunichiamo su una chat - ma in cui possiamo essere trascinati in qualsiasi istante, per caso. Capita ai personaggi del romanzo, dal figlio del bandito dalla doppia vita alla vittima di un incidente stradale fino a chi subisce piccole e grandi tragedie personali che non avranno nemmeno l’onore di una notizia in breve. Capita anche a noi. E allora quell’invito, quel «chiedimi l’amicizia» che ricorre nelle pagine del romanzo e gli dà il titolo, sembra essere un modo per uscire dal vicolo cieco che è la vita quotidiana e vedere se là fuori può esserci di meglio. Un piacere effimero, forse, o magari qualcosa di più.

lunedì 24 ottobre 2011

La prima recensione per Chiedimi l’amicizia


Copia e incolla da letturablog.it

“Chiedimi l’amicizia”, Mauro Evangelisti


Pubblicato da Filippo Munaro il 24 ottobre 2011
in Libri, Novita in libreria, Recensioni
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C’è che di squisitamente romanzesco nelle pagine del nuovo libro di Mauro Evangelisti, “Chiedimi l’amicizia“, (CartaCanta, 2011).
Trenta storie, trenta vite che, assieme, si uniscono come i binari di una ferrovia per costituire un unico, emozionante romanzo.

Evangelisti dipinge, con la passione di un artista, i tratti freddi e netti di una società, la nostra, e di una generazione, quella dei giovani, alle prese con una lunga lista di problematiche, figlie, molto probabilmente, della noia indotta dal placido e insipido quieto vivere di tutti i giorni.

Ci sono Giovanni e Sandro, due ragazzi che devono fare i conti con la solitudine. Manuel e Barbara, in cerca d’amore e di una ragione di vita. E poi c’è Paco, l’affascinante ragazzo omosessuale che ama vivere “alla giornata”, e tanti altri particolarissimi e, soprattutto, giovanissimi protagonisti che popolano questo vivace romanzo.

Da porre in evidenza anche il titolo: “Chiedimi l’amicizia“. Una scelta certamente non casuale, dettata dal desiderio dell’autore di lasciar trasparire il lato più oscuro della gioventù di adesso: uno stato d’inquietidune, di perenne turbamento che, paradossalmente, sembra maturare di pari passo con l’accrescimento del benestare economico.
E’ interessante constatare, infatti, come certi problemi quali la depressione o altri turbamenti di natura psichica o psicologica si concentrino quasi esclusivamente nei Paesi più sviluppati, dove il benestare e il quieto vivere sono un bene quasi alla portata di tutti.

Ed è proprio questo l’interessante spunto di riflessione che traspare dalle pagine di “Chiedimi l’amicizia“, un interessante romanzo di cui si consiglia la lettura, oltre che per la prosa semplice e genuina, anche per l’alto contenuto sociale che lo scrittore Mauro Evangelisti ci propone con tanta chiarezza.
Filippo Munaro

venerdì 21 ottobre 2011

il racconto uscito su www.cinquecapitoli.it

di Mauro Evangelisti

LE FOTO DI SARA


Manuel torna ad aprire gli album del profilo su Facebook di Piccola dama. Non lo fa da molto tempo. Anche perché ormai le immagini sono sempre le stesse. Nessun aggiornamento, come se il tempo si fosse fermato per Piccola dama.

Le foto dei palazzi squadrati della periferia scorticata romana, i citofoni allineati con i nomi scritti con il pennarello e una videocamera diffidente, le colonne e i portici sporcati da vernici che raccontano di parolacce, amori eterni, nemici politici e del pallone, le basculanti dei garage che nascondono il patrimonio più amato, le macchine e gli scooteroni. Le foto scattate da Piccola dama. Sono immagini che a Manuel ricordano un periodo della sua vita neanche tanto lontano, ma finito, archiviato. Non aveva compiuto ancora diciotto anni, stava finendo il liceo. C’era un’estate che ricorderà per sempre per quel percorso a piedi di ogni giorno. Gli sembra che fossero unicamente sole, scritte sui muri, musica alta dalle finestre, Tiziano Ferro e Jovanotti forse, manifesti ovunque, spocchiosi, con facce di merda rette da giganteschi nodi delle cravatte di una qualche noiosa campagna elettorale.

Manuel lo rivede, il percorso sempre uguale di quell’estate: scende in officina e saluta suo padre, che risponde sventolando un braccio da sotto un’auto zoppa, senza una ruota, e sbraita «non fare casini e non farmi cenare da solo per una volta.» Gli sembra ancora di sentirlo l’odore caldo dell’officina, dove suo padre si è rinchiuso da quando la madre di Manuel se ne è andata chissà dove. Manuel rivede la passeggiata lungo la piccola strada dove è nato, crateri e ragnatele di asfalto, impossibile trovare anche un solo metro liscio e curato. Le buche, Manuel, le conosce a memoria, potrebbe disegnarne la mappa a occhi chiusi. Un tempo tutto cemento abusivo, oggi qualcuno potrebbe chiamarle villette. Uno sguardo oltre il cancello della casa gialla dove ogni mattina vede la scena: Pino, il ragazzo spastico dall’età indefinita, su una sedia bianca, che lancia la palla al padre seduto a pochi metri da lui. Il padre la prende e senza dire nulla la rilancia a Pino. Quanto vanno avanti? Manuel non l’ha mai saputo, sa solo che ogni volta che passa, Pino e il padre sono lì, a lanciarsi la palla senza parlare. E che vita sarà mai quella. Pino spesso ha una maglietta con la pubblicità di una carrozzeria, il padre una canottiera. La palla è gialla e nera. Nel piazzale vicino al giardino c’è sempre una vecchia Ritmo, che chissà se va ancora in moto.

Manuel prosegue, aggira i cassonetti dell’immondizia, a volte sono solo carcasse carbonizzate perché quest’estate va di moda bruciarli. Lascia la stradina ed entra nello stradone, quello che da pochi anni è stato riempito da palazzine di otto – dieci piani, tutte uguali, rosse, balconi come cubi in cui pensare di vedere davvero il cielo, bilocali a 275 mila euro e le tribù dei mutui sono calate anche lì, più vicino ai campi nomadi abusivi che al raccordo, ma va bene lo stesso. Le parabole sui terrazzi. Manuel si ferma al bar nuovo, scruta il titolo in prima pagina del Corriere dello Sport, beve il caffè e scherza con Muscolo, il proprietario che qualche anno in carcere deve averlo fatto, ma se parli bene della Roma diventa un angioletto e ti offre anche un bicchiere d’acqua del rubinetto. Se entri nel bar e sta telefonando a qualche radio per discutere sull’ultima partita di campionato, ti devi mettere il cuore in pace e aspettare. Manuel cammina, prosegue, la destinazione è la fermata dell’autobus perché lo scooter è stato sequestrato da quelle merde della Municipale, anche se avevano ragione loro, a dirla tutta, perché il casco lo aveva dimenticato. Quasi sempre però si ferma prima.

C’è Sara, con la sua macchinetta digitale, trascorre le ore a scattare fotografie. Ha un anno in meno di lui, a scuola non va, ha lasciato subito dopo le medie. Ma da quando ha cominciato a parlarci, Manuel ha capito che Sara di cose ne sa parecchie, anche senza andare a scuola. Di sicuro molte più di lui. «Leggo molto. E poi mi tengo informata su Internet, lì trovo tutto», è la spiegazione di Sara. «Oggi che fotografi?» è la domanda con cui di solito Manuel attacca discorso, quando la incrocia lungo la strada dei palazzoni, che poi succede quasi tutti i giorni. Le foto di Sara. Manuel ha capito che Sara è un po’ come i pittori, va a periodi: c’è la settimana dei rifiuti, il mese delle automobili, quello delle scritte sui muri o delle pozzanghere.

Sara mette tutto su Facebook, decine di album di immagini che nessuno guarda visto che Piccola dama non ha nessun amico. Nessuno, a parte Manuel da quando hanno cominciato a parlarsi. «Aò fammele vedere le foto che fai…so curioso».

Lei per giorni ha rifiutato, alla fine ha allargato le braccia e gli ha risposto: «Vabbè chiedimi l’amicizia su Facebook, mi trovi come Piccola dama. Ma vedrai che non ti piacciono. Almeno la smetti di rompermi.» Manuel le ha chiesto l’amicizia e ha scoperto due cose: primo, è l’unico amico di Piccola dama; secondo, le foto, anche quando hanno come soggetto un cassonetto riflesso su una pozzanghera o lo scheletro di un motorino abbandonato sul marciapiede, sono belle, bellissime, delle rivelazioni. Manuel non sa spiegare perché, ma è sorpreso da come Sara sappia trovare la bellezza in ciò che vediamo ogni giorno. Manuel non sa nulla di arte, ma secondo lui quelle foto sono arte. Manuel sente una fitta allo stomaco guardando le foto di Sara.

«Secondo me dovresti esporle» le dice ogni tanto, «ma va, io queste foto le faccio per me, chi pensi sarebbe interessato a vederle?», risponde lei. Sara è strana. Quando la prima volta, incuriosito perché l’aveva notata mentre fotografava degli pneumatici abbandonati fra le erbacce, le aveva chiesto «me le fai vedere dopo queste foto?», lei dura e diffidente aveva risposto «lasciami stare.» Dopo però avevano iniziato a parlare, i muri erano caduti uno dopo l’altro, dialogavano prima a monosillabi, poi con maggiore fiducia reciproca. E Sara gli aveva confidato: «Ma lo sai che sei il primo ragazzo del quartiere che mi ha rivolto la parola?», «E come mai?», «Perché sono brutta, brutta e strana, non lo vedi?» In effetti, aveva pensato Manuel, Sara è brutta: bassa, con il culo molto grosso, la testa piccola e sproporzionata, poche tette, le spalle ricurve, gli occhi piccoli e obliqui. Di dirle una balla non gli andava, per cui la prima volta aveva risposto con una verità: «Ce ne sono delle più brutte.»

Quell’estate. Quasi ogni giorno Manuel e Sara s’incontrano, parlano, lui commenta le foto di lei che va a vedersi la sera su Facebook. Un giorno lei gli chiede di accompagnarlo al nuovo centro commerciale che hanno aperto da pochi giorni, inaugurazione con decine di migliaia di persone sudate in fila per comprarsi uno smartphone a 299 euro davanti a una vetrina e a due vigilanti spaventati. «Ora c’è meno casino», lo rassicura Sara, che vuole scattare delle foto all’architettura ruffiana del nuovo centro commerciale. A piedi è un viaggio e fa pure caldo, merda, ma alla fine Manuel la ricorda come una bella giornata. Chiacchierano.

«Sai qual è la cosa buffa? Che mio padre e mia madre sono molto belli, alti, biondi. E mio fratello è bellissimo, potrebbe fare del cinema. Solo io sono venuta così strana. Pensa che volevano chiamarmi Linda che in spagnolo vuol dire bella. Per fortuna non l’hanno fatto.»
«Ma ti trattano male? Tuo fratello come ti tratta?»
«Male? No, non direi. I miei cercano di essere gentili, ma si vede che un po’ li metto in imbarazzo. Mio fratello, che ha due anni in più di me, invece mi vuole un bene dell’anima. A volte mi sento quasi in colpa a deluderlo. Ma che ci posso fare? Sono brutta. Brutta e strana.»
«Secondo me esageri, ho visto ragazze molto più brutte di te scoparsi dei miei amici passabili… devi solo avere più fiducia.»
«Sai che c’è? Il problema è che io sono brutta e strana, ma ho la testa, la personalità di chi si sente molto bella. Non ti mettere a ridere, ma io non ho l’umiltà di chi è brutto. Per cui non mi accontento, non mi comporto nel modo giusto. A volte penso che in un’altra vita ero davvero una gran gnocca, ma un incantesimo, come nelle favole, mi ha trasformato come sono. Devo avere fatto incazzare qualche strega.»
«Certo che ne dici di stronzate, no?»

Alla sera Manuel va a vedere su Facebook le foto scattate al centro commerciale: bellissime. Tristi, ma bellissime. Manuel è colpito dall’immagine della fila cupa delle colonne del parcheggio sotterraneo, inframmezzata dalle auto e da qualche famiglia che sembra sperduta.

Un’altra volta, mentre sono nel garage di Sara per cercare batterie di ricambio per la macchina fotografica, lei gli fa una richiesta. A freddo, così, senza avere mai affrontato l’argomento prima.

«Mi vergogno un po’ a chiedertelo, ma non saprei a chi altro domandarlo. Lo sai che non ho mai avuto un ragazzo e, quindi, non ho mai visto… vabbè hai capito di che parlo, non ho mai visto un pisello. Vabbè l’ho visto su Internet, nelle foto. Intendo che non l’ho mai visto dal vivo. Non è che me lo faresti vedere?»
Dieci secondi di silenzio, Manuel dondola sui suoi piedi, poi risponde «ma come lo vuoi vedere moscio o duro?», «Fai te.» Manuel si apre i jeans, abbassa i boxer, si sente un po’ come un ragazzino delle scuole medie. Lo lascia toccare a Sara e se lo fa diventare anche duro. «Grazie, sei stato un amico. Sarebbe meglio non lo raccontassi a nessuno. Ora andiamo», dice lei. Da quel giorno non ne hanno più parlato, ma a entrambi alla fine non è sembrato nulla di speciale, come se Sara avesse chiesto a Manuel di fare un giro sullo scooter.

«Sai» racconta un’altra volta Manuel a Sara «l’altro giorno ho fatto un salto al nuovo centro commerciale. Nel magazzino, quello grande dove volevo comprare i jeans, ho visto un ragazzo, avrà avuto cinque o sei anni più di noi, ma era su una di quelle sedie a rotelle motorizzate, con quello strano aggeggio che ferma il collo. Poteva fare pochissimi movimenti. Mi ha colpito perché con lui c’era la madre. Una signora vestita bene, con i capelli corti, gli occhiali, una bella borsetta. E lei gli diceva “ma sai Antonio che delle cose che abbiamo comprato l’altra volta non ti sei messo ancora nulla? Sei proprio incontentabile”. Lui era immobile, silenzioso, lo sguardo fisso come un bambolotto. Io stavo quasi per piangere, avrei voluto dire a quella donna: ma brutta stronza, cosa cazzo vuoi comprargli, non vedi come è messo, ma pensi davvero che possa fregargliene qualcosa di come vestirsi, di una maglietta, una camicia, una polo, pensi che cambierebbe qualcosa? Poi ci ho ripensato e la voglia di piangere era ancora più forte. Ho fatto alte due ipotesi: che lei dicesse così per continuare a comportarsi con suo figlio come faceva prima dell’incidente, semmai c’era stato un incidente; o che tentasse di fare sentire lui come un figlio qualsiasi che discute con la madre.» Sara sospira, accarezza la sua macchina fotografica, lo guarda e risponde: «Certo che la vita è complicata…li hai mai visti il padre e il figlio handicappato, quelli della villetta nella tua strada, che tutti i giorni trascorrono le ore lanciandosi una palla? Vorrei fotografarli, sarebbe un’immagine bellissima. Ma non ce la faccio, neppure di nascosto.»

Manuel ripensa a quell’estate. Al bar da Muscolo studiava il Corriere dello Sport per decifrare il mercato della Roma, poi passava al Messaggero ma leggeva solo gli articoli sui roghi, su qualche matto che andava in giro a bruciare macchine e motorini. Manuel ripensa al giorno in cui, poco dopo avere compiuto diciotto anni, Sara è scomparsa.

Era già settembre. Nel quartiere tutti ne parlavano, chi diceva che era stata uccisa, chi rapita, «di certo non l’hanno violentata» commentavano i più stronzi. Manuel andava a vedere la pagina di Piccola dama su Facebook, sperando di trovare una traccia, un messaggio, un aggiornamento, ma era immobile, immutabile. Non cambiava nulla nella pagina di Piccola dama.

Una mattina, a casa di Manuel, si presenta un bel ragazzo biondo, alto, serio. Disperato, balbetta, ha gli occhi rossi, entra nell’officina. «A Manuel, te stanno a cercà», urla il padre.
Manuel scende, vede il ragazzo biondo, gli dice: «Avevi bisogno? Scusa, ma chi sei?»
«Sono il fratello di Sara. È da due mesi che non abbiamo più notizie di lei, so che tu ogni tanto ci parlavi. Eravate amici, no?»

Manuel gli stringe la mano, gli dice che anche lui non riesce a spiegare la scomparsa di Sara, che lei non aveva mai parlato di viaggi e di fughe, le piaceva fare fotografie e basta, ma i carabinieri stanno indagando, i giornali come mai non ne parlano più? Il fratello di Sara allarga le braccia, piange, spiega che i genitori hanno fatto il minimo indispensabile, poi hanno smesso di cercarla, l’unica cosa che lo rassicura è che dal conto che aveva in comune con la sorella mancano parecchi soldi, forse Sara è fuggita, ma perché non mi fa sapere se sta bene? I miei si sono rifiutati pure di andare a Chi l’ha visto. Manuel l’abbraccia. «Se so qualcosa ti faccio sapere, speriamo dai.»

Da quel giorno è passato un anno e mezzo. Di Sara non ha più sentito parlare, di quell’estate restano solo il padre e il figlio spastico che si lanciano la palla nera e gialla nel cortile della villetta lungo la strada piccola. Manuel torna a guardare su Facebook gli album di foto scattate da Sara, anzi da Piccola dama. I garage, gli scooter parcheggiati, la serie dei manifesti elettorali, le arcate del centro commerciale, i sacchetti neri dei rifiuti, un autobus lontano. Poi Manuel si ferma e per un attimo smette di respirare.

Si accorge che ci sono foto nuove, immagini che non aveva mai visto: sono scattate dall’alto, si vedono lunghe colonne di auto, traffico caotico di giorno e di notte, quasi sembra di sentirne i rumori, i clacson, le voci, taxi dai colori esotici, fucsia, rossi, blu, gialli, forse una città asiatica. Come al solito le foto sono bellissime, solo più brillanti, scintillanti, allegre di quelle degli altri album. Manuel comincia a ridere come uno scemo. Pensa «brava Sara», sceglie la foto più bella e clicca su “mi piace”. Prende una birra dal frigo, la apre e la alza nella direzione del computer: alla tua, Sara, cazzo ce l’hai fatta.

Sara sta passeggiando nel parco Lumphini, sullo sfondo lo smog grigio-celeste, i grattacieli e il treno volante che passa proprio in quel momento su Bangkok. Lei, come sempre, ha la sua digitale appesa al collo, attorno una scenografia di prati, laghetti e alberi compiacenti. Vicino scorre il torrente di persone che fanno footing o semplicemente camminano, quarantenni thailandesi con le Nike e la maglia della Juventus, ragazzini con le cuffiette e l’iPod in mano, signore anziane che camminano fiere con una bella maglietta bianca, uomini d’affari anglosassoni che non possono permettersi di non essere in forma neppure ora che la multinazionale li ha trasferiti in Asia, ricchi, poveri, bassi, giovani, vecchi, qualche coppia che scruta il laghetto, sembra che ci siano tutti, questo pomeriggio al parco di Lumphini.

Sara sta camminando nel senso sbagliato, lei in una direzione, tutti gli altri in quell’opposta. Ma non importa, la mia vita è sempre stata così, scherza nella sua mente. Ogni tanto incrocia gli enormi lucertoloni, i varani, grandi come mezzo coccodrillo: la prima volta che li ha visti nel parco si è spaventata, poi ha capito che sono brutti ma innocui. All’improvviso, nel parco come nei giochi che si facevano da piccoli – quelli che Sara guardava solo – perché nessuno la invitava, tutti all’improvviso si fermano. Le persone immobili le ricordano anche quei film di fantascienza in cui succede uno strano evento che blocca il tempo. Si sente una musica dagli altoparlanti e Sara capisce che è l’inno thailandese. Vorrebbe scattare una foto, sarebbe una immagine bellissima, ma rinuncia perché teme che qualcuno si arrabbi. Quando l’inno finisce e l’altoparlante tace, il torrente riprende a scorrere, Sara raggiunge una delle porte principali del parco, sullo sfondo la statua di un qualche vecchio, colonne di auto e un cielo che fra i palazzi si sta colorando di rosso. Sara si ferma a guardare, incredula, centinaia di anziani che seguono uno strano personaggio, una specie di maestro matto di aerobica, che su un palco detta il ritmo degli esercizi, mentre in sottofondo va una musica pop thai. Questa volta Sara scatta, questa è proprio una bella foto, pensa. Una signora con i capelli bianchi e il viso attraversato dalle rughe le sorride. Sara oggi è felice. Le sue foto sono esposte nel cortile di un grande centro commerciale, migliaia di persone si fermano ad ammirarle. Alla sua mail le sono arrivati molti complimenti. Merito di Jiji, la sua compagna di appartamento. Che strana coppia: Jiji è sottile, bella, e fa i soldi sostanzialmente andando a letto con i turisti. Sara è brutta e grassa, da Roma e dalla sua famiglia e dalla sua vita è scappata per quello, si è ritrovata Bangkok lei che non era mai stato neppure fuori dal suo quartiere. Dopo un mese in albergo, non sa lei nemmeno come si è ritrovata a dividere l’appartamento su un grande viale con Jiji. Non sa per quale strana alchimia sono diventate subito amiche. Jiji le ha detto che le sue foto sono bellissime, le ha voluto presentare un suo amico italiano che fa il fotografo, uno crazy ma good person. Paride, il fotografo italiano, da dieci anni abita a Bangkok e soprattutto è alla ricerca della maniera di sottrarre meno tempo possibile ai suoi incontri ravvicinati con le ragazze thai e con la marijuana. Dopo avere guardato rapidamente su un portatile le foto di Sara, l’ha squadrata, ha sputato la gomma che stava masticando centrando un cestino, e le ha chiesto: «Sei sicura di essere una fotografa?» Sara sincera le ha riposto: «Direi proprio di no.»

Paride l’ha messa alla prova su alcuni servizi di scarsa importanza. Vai, scatti le foto, e se vanno bene ti do il venti per cento di quello che prendo io. Lo so, è un mondo ingiusto.

Sara ha detto che a lei andava bene così, all’inizio ha combinato solo pasticci, ma Paride ha capito che ci sapeva fare e che non era antipatica. Tanto bastava. «Nun se può guardà – ha pensato – però è brava e intelligente.»

L’importanza dei servizi è aumentata di volta in volta, fino a quando, il giorno in cui era troppo impegnato con una hostess di Singapore, ha consegnato Sara ad alcuni colleghi per andare a scattare delle foto al confine dove stava andando in scena una piccola guerra fra thailandesi e cambogiani. «Stai con gli altri, fai quello che fanno loro, non avere paura, sii prudente e indossa il giubbotto antiproiettile. Non fare le solite cazzate e non farmi stare in pensiero.»

Sara non ha avuto paura, si è divertita, è stata l’ombra di un vecchio fotografo spagnolo che l’ha presa in simpatia. Tre giorni dopo una delle sue foto è uscita in prima pagina sull’Herald Tribune. C’era la firma dell’agenzia e di Paride, che invece se n’era rimasto tutto il tempo in piscina con la hostess di Singapore. Paride le ha mandato un sms: lo so, sono una merda, ho firmato la tua foto, però questa volta ti concedo il 25 per cento. Ps: la foto era bellissima. Sara non era arrabbiata, era felice perché la sua foto era uscita su un giornale vero, perché non aveva combinato casini, perché il fotografo spagnolo l’aveva trattata come una collega e le aveva insegnato a bere alcolici senza ubriacarsi, perché la foresta era bellissima. Alla sera ha portato Jiji a cena in un ristorante italiano e si sono ubriacate.

Il giorno dopo Paride, che non è proprio una merda, ha segnalato agli organizzatori di una mostra in un centro commerciale le foto che Sara aveva fatto, per conto suo, in giro per Bangkok e aveva poi messo su Facebook. Dopo quindici giorni erano esposte, migliaia di persone le ammiravano e a Sara non sembrava vero. Poi le è arrivato il messaggio di Manuel, che qualche settimana prima aveva cliccato su mi piace proprio su una delle foto di Fb che ora stanno davanti al centro commerciale.

«Ma dove cavolo sei?», le ha chiesto sulla posta di Fb. Sara gli ha raccontato tutto: la sua strana storia, le foto per l’agenzia, quelle al confine con la Cambogia, le serate a mangiare pollo per strada con Jiji che le raccontava quali sono i turisti più taccagni e quelli più generosi, quelli più dotati e quelli più maleodoranti. Manuel le ha risposto che era in crisi, che aveva avuto una storia con una ma era finita di merda, che si era iscritto all’università ma legge non gli piaceva, che non voleva neppure finire in officina con il padre. Sara gli ha risposto: forse dovresti solo cambiare ambiente per un po’, vieni qua a Bangkok, ti trovo un albergo a quindici euro a notte, ti porti i libri, ti prepari gli esami e hai il tempo di pensare alla tua vita. Manuel all’inizio ha avuto paura, ha risposto «ci rifletto su, potrebbe essere una buona idea.»

Poi ne ha parlato con suo padre.
«Secondo te faccio una cazzata se vado?»
«Fai una cazzata se non vai, Bangkok ti piacerà e hai bisogno di uscire da sto cazzo di quartiere, non mi piace vederti sempre così.»
«Così come?»
«Boh, così spento. Aò, è chiaro che sarò agitato, preoccupato, che sarò in pensiero. Però penso che tu debba andare. Ma usa sempre il preservativo.»
«Guarda, che io vado là per rivedere Sara, per staccare, per riflettere.»
«Bravo, stacca, rifletti, però usa sempre il preservativo. E chiamami tutti i giorni su Skype.»

Ora, mentre Sara sta uscendo dal parco di Lumphini e prova ad attraversare la strada nel gorgo del traffico di Bangkok, si sente felice, come non mai. Perché anche Manuel le ha detto che le sue foto sono molto belle, perché adesso Manuel è in giro per Bangkok con Jiji. Lei prima ha spiegato a Jiji: guarda che Manuel non ha un soldo. Lei ha sorriso. Poi ha preso da parte Manuel: guarda che Jiji di solito va con i turisti per i soldi, è giusto che tu lo sappia. Manuel ha sorriso e ha risposto «nessuno è perfetto.» Manuel in questo momento sta giocando a bowling con Jiji, nel centro commerciale dove sono esposte le foto di Sara. Anche lui è felice, quanto meno libero. In quel momento, intanto, un ragazzo biondo, molto bello, sta facendo il check-in all’aeroporto di Fiumicino al banco della Thai. Qualche giorno prima ha ricevuto una lunga mail da Manuel che si concludeva con una frase: «Dai, prendi un aereo e vieni qua. Facciamo una sorpresa a Sara.»

giovedì 20 ottobre 2011

mercoledì 12 ottobre 2011

tornando da auschwitz

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di Mauro Evangelisti
Non è giusto. A volte si parla delle nuove generazioni solo per gli errori che possono commettere o perché - esattamente come chi è stato giovane prima di loro - si mettono nei guai. Così ieri si è dovuto parlare di un gruppo di ragazzi romani che ha partecipato al Viaggio della Memoria ad Auschwitz-Birkenau e, la notte prima di ripartire, in discoteca nella vicina Cracovia ha litigato con un buttafuori. Uno di loro si è preso un pugno ed è finito in ospedale con il naso rotto. Commenti dei benpensanti: vedi, da questi viaggi sui luoghi dell'orrore non imparano nulla, perché poi alla notte se ne vanno in discoteca a ubriacarsi. Non è così: quei ragazzi - due squadre di calcio, una femminile e una maschile, e gli studenti di un istituto professionale - si erano impegnati seriamente durante la visita ai campi di sterminio, anche quelli che sono poi andati in discoteca. Avevano ascoltato con attenzione e commozione la testimonianza di una sopravvissuta, fatto domande allo storico che gli ha illustrato il prodotto della follia nazista. Non deve essere quel brutto incidente, una birra di troppo e soprattutto la violenza stupida di un buttafuori di Cracovia a oscurare quanto di buono questi e tanti altri ragazzi fanno ogni giorno.

giovedì 6 ottobre 2011

iDeath

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di Mauro Evangelisti
Ecco, stavo scrivendo titoli di coda con l'iPad. E stavo parlando dell'ultimo show della Apple, dell'iPhone che dialoga con il suo proprietario. Poi è uscita una notifica, sull'iPad, era il servizio di notizie della Cnn che diceva, in inglese: è morto Steve Jobs. Me l'ha
detto il "suo" iPad.

Non è una sorpresa, per poche persone le condizioni di salute sono state una notizia pubblica, costantemente monitorata, come per il mago della mela.

Sarà retorico, lo diranno tutti, ma andate su Youtube e cercate il discorso di Steve Jobs ai neolaureati di Stanford, magari nella versione con i sotto titoli in italiano. Ogni parola guadagnerà un significato ancora più profondo oggi.

giovedì 25 agosto 2011

palinsesto roma

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di Mauro Evangelisti
Alemanno dice, più o meno: a Roma tutti questi omicidi sono causati dall’emulazione della fiction di Romanzo criminale. Ci si aspetta per le prossime settimane: il caso dell’infermiera malata di tubercolosi al Gemelli? vedi cosa succede a guardare troppe puntate del Doctor House; quelli che corrono in macchina e causano incidenti? sicuramente da bambini guardavano il cartoon giapponese Ken Falco e ora guardate che fine hanno fatto; i casi di omofobia sono in realtà l’effetto della noia subentrata per l’ultima serie di Will&Grace; le risse a Trastevere? ovvio, sono causati da la Pupa e il secchione, Uomini e donne e il più raffinato Grande Fratello; e i ragazzini che dicono le parolacce? troppe trasmissioni politiche con ministri che insultano (e s’insultano fra di loro).

Ah, la tv, nella parte politica del sindaco hanno sempre messo in guardia contro gli effetti deleteri della tv

mavaffankuduro

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di Mauro Evangelisti
Che estate 2011 ricorderemo? Ricorderemo un gruppo di amazzoni che chiederà asilo politico all'Olgettina, tanto per sdrammatizzare, anche se in Libia si sta morendo davvero? La ricorderemo per Vasco Rossi che ha scoperto Facebook, come un adolescente esuberante, anche se a lui tutto perdoni (e speri superi i suoi problemi di salute) perché a pensarci bene è l'unico cantante di cui nei momenti diversi della tua vita, anno dopo anno, c'è sempre stata una canzone diversa (quasi sempre molto bella) come colonna sonora.

Ricorderemo quest'estate perché la crisi è più crisi di prima che già c'era la crisi; e i governanti che ti chiedono soldi, ti impongono sacrifici, sacrifici veri, sono proprio coloro che per anni ti hanno detto che chi evadeva le tasse, insomma, andava compreso, condonato, che evadere non era così sbagliato; e pensi che se invece tutti le avessero pagate ora non ci troveremmo a questo punto e allora ti viene da rispondere con una parola non bella ma che risuona più o meno come il tormentone che sentiamo alla radio: Danza Kuduro.

fra' cacarella

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di Mauro Evangelisti
«Cacarella». Va bene porgere l'altra guancia, perdonare e pregare, ma alla fine anche al più paziente dei frati francescani scappa la frasetta che è un augurio a sedersi sul water con una certa frequenza. I frati francescani sono quelli del convento di San Salvatore al Monte a Firenze, città in cui l'invettiva colorata, anche bonaria, è di casa. Un misterioso ladro per due volte ha rubato due preziose edizioni della Bibbia dal leggìo della Chiesa.

I frati, dopo avere sostituito i volumi spariti, hanno appeso un cartello con un testo rivolto al furfante. C'è scritto: «Preghiamo il Signore che gli faccia venire una forte cacarella e che questa sia di stimolo per aiutarlo a non compiere nuovi furti». Se il ladro, invece di venderle, vorrà leggere le Bibbie che ha rubato, avrà tempo per farlo seduto sul water

domenica 14 agosto 2011

il nuovo romanzo chiedimi l'amicizia




Giovanni e Sandro sono due ventenni che devono fare i conti con la solitudine. Manuel è un bravo ragazzo in cerca d’amore.
Barbara, invece, è alla ricerca di una ragione di vita. Paco è un affascinante gay che sfugge le responsabilità. Lisa è una bella ragazza con tanti grilli per la testa. Insieme a Dragomir, al Conte, a padre Fernando, crescono, soffrono, sbagliano ma soprattutto vivono alla ricerca di uno stordimento momentaneo, di una felicità provvisoria, di una esistenza migliore.

Trenta storie che si intrecciano per dare vita ad un romanzo corale, ironico e pungente che scava nella normalità apparente del vivere quotidiano di una generazione sfuggente e caleidoscopica.


Codice: 978-88-96629-35-2Autore: Mauro EvangelistiNum. Pagine: 160

CARTA CANTA EDITORE
www.cartacantaeditore.it

giovedì 11 agosto 2011

stile british

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di Mauro Evangelisti
Il Regno Unito ha la tripla A, secondo Standard & Poor’s. I roghi, gli assalti alla polizia, gli scontri per strada, i saccheggi dei negozi a Londra sembrano raccontare altro. Sembrano dire, in uno scenario che pare importato da un film di fantascienza catastrofista, che benessere e tenuta del tessuto sociale non sempre hanno una perfetta corrispondenza con gli indicatori economici. E come in altre rivolte - se davvero per quella britannica può valere questa definizione - si affaccia ancora la rete. Utilizzata però da entrambe le parti, perché se gli organizzatori dei disordini comunicano con i Blackberry, la polizia risponde mettendo su Flickr le foto dei sospetti, riprese spesso dalle telecamera della videosorveglianza nella nazione dove forse ci sono più occhi elettronici a controllare le strade. Gli indignados in Spagna, gli studenti in Cile, la rabbia della Grecia, i roghi di Londra: il mondo ha dei sussulti, mentre le borse affondano. In Italia per ora minacciano proteste i calciatori.

mercoledì 3 agosto 2011

roma sporca roma

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di Mauro Evangelisti
Incredibile Roma. Nella grande comica dei manifesti abusivi che rende la città più sporca e senza decoro ecco una nuova puntata. Non bastava il Pdl che per combattere i manifesti abusivi aveva riempito alcuni quartieri di manifesti abusivi? Ora c'è di meglio: le istituzioni dialogano con i cittadini con i manifesti abusivi. Perfino attaccandoli con il nastro adesivo sugli alberi. Possibile? Possibile. Qualche settimana fa il Campidoglio aveva annunciato con orgoglio una nuova linea dura, durissima contro le discoteche che pubblicizzano eventi con volantini abusivi appesi ovunque. Bene, il Municipio XX - stesso colore politico del Campidoglio - per comunicare ai cittadini una modifica alla viabilità ha fatto tappezzare le strade di manifesti abusivi. Con tanto di logo dell'istituzione e firma del presidente. Hanno coperto pubblicità regolari, ad esempio, alle pensiline dei bus, ammassato manifesti su muri e lamiere, ma per non farsi mancare nulla al XX Municipio hanno persino usato alberi come pali, con tanto di nastro adesivo. Si dirà: ma è una comunicazione importante per la viabilità. È vero, ma si poteva ottenere lo stesso risultato mettendo manifesti negli spazi regolari. Ma forse al XX Municipio governato dal Pdl temevano che poi venissero coperti dai manifesti abusivi del Pdl che fa la battaglia contro i manifesti abusivi.

oltre la fiction

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di Mauro Evangelisti
Cosa avremmo pensato di uno sceneggiatore o di uno scrittore che ci avessero proposto una storia come quella delle agghiacciante tragedia norvegese? Un fondamentalista cristiano neonazista biondo e pazzo che progetta e mette in pratica un'apocalisse, fa esplodere una bomba nel cuore di una capitale pacifica e ordinata come Oslo e poi compie una strage sparando senza pietà a ragazzi intrappolati in un'isola?

Avremmo pensato che lo sceneggiatore e lo scrittore avevano esagerato, che va bene la fiction ma una storia così non reggeva. Eppure la realtà, purtroppo, supera gli steccati del credibile, paradossalmente capita che la realtà non sia realistica.

Cosa avremmo pensato quindici anni fa un film che ci avesse proposto le immagini di due aerei che si schiantano sulle torri gemelle?

Anche guardando la storia recente del nostro Paese, vengono alla mente casi in cui la realtà sembra ispirata, ma con effetti dilatati, appunto quasi non realistici, dallo sceneggiatore ardito di un film noir, pensiamo solo alla storia incredibile della sepoltura del boss della Banda della Magliana, Enrico De Pedis, nella basilica di Sant'Apollinare a Roma. Davvero, soprattutto nel territorio del male, non c'è fiction più imprevedibile della realtà.

povera patria

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di Mauro Evangelisti
Sono stato male interpretato. Ecco, se ne sentiva la mancanza di questa frase. Ieri un parlamentare europeo, uno degli esponenti più conosciuti di un partito che governa l’Italia - Mario Borghezio, Lega Nord - ha goffamente inviato le sue scuse alla Norvegia dopo che in una trasmissione radiofonica aveva spiegato di condividere al cento per cento le idee di Breivik, l’uomo che ha compiuto la strage a Oslo e nell’Isola di Utoya. Anche il ministro degli Esteri, Franco Frattini, aveva definito «farneticanti» le affermazioni di Borghezio e lo aveva invitato a scusarsi con il popolo norvegese. Borghezio ieri lo ha fatto, ma a modo suo. Malgrado in ogni secondo si possano ascoltare le sue frasi su Youtube, Borghezio non ha affermato «scusate, ho detto una sciocchezza», «scusate, mi sono spiegato male», «scusate, forse era meglio se mi stavo zitto, provavo a non seminare altro odio e a rispettare maggiormente le vittime di questa immane tragedia». No, per scusarsi, ha sostenuto che le sue frasi sono state «illegittimamente travisate». Da chi? Da Youtube? Qui il problema non è il multiculturalismo. Qui il problema è la monocultura di chi non riesce, almeno quello, neppure a scusarsi davvero.

giovedì 21 luglio 2011

manifesta illegalità

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di Mauro Evangelisti
Dei veri geni. Chi non è di Roma magari neppure ci crede: il Pdl della Capitale per denunciare l’inefficienza di Zingaretti nel contrasto dei manifesti abusivi sulle strade provinciali ha riempito Roma di manifesti abusivi. Un po’ come fare una campagna contro l’abuso dell’alcol fra i giovani portandoli all’Oktoberfest. Eppure, a Roma, nella città dove tutti i partiti (di ogni schieramento, destra e sinistra, ad esclusione dei Radicali) trovano normale violare la legge attaccando ovunque i manifesti abusivi tutto questo è possibile. C’è un danno d’immagine per la città, per le aziende in regola che vedono ricoperte le loro pubblicità, per l’Ama che deve poi andare a ripulire. Eppure, i partiti non pagano mai le multe, ogni volta - ma che fortuna - spunta una sanatoria. Detta più chiaramente: tu cittadino se stai poco bene il ticket lo paghi, io partito attacco i manifesti dove mi pare e non pago le multe. D’altra parte Roma è anche la città in cui nessuno ha chiesto scusa per le bugie raccontate durante la campagna elettorale di un anno fa sul caso della lista del Pdl non presentata. Da Polverini a Berlusconi fino a tutti i leader locali del Pdl urlarono, per un mese, nei comizi: con la prepotenza i Radicali e i Socialisti ci hanno impedito di presentare la lista alle regionali. Un mese fa, in un’intervista al Messaggero, Alfredo Milioni (quello del panino, per intenderci, colui che non riuscì a presentare la lista) ha ammesso: «Non ho mai detto che è stata colpa dei Radicali e dei Socialisti, non fu per colpa loro se la lista non fu accettata». Bene, avete ancora sentito qualcuno del Pdl dire ai romani e ai laziali: «Scusate, avevamo capito male, ci siamo sbagliati e vi abbiamo detto una cosa non vera, fu un errore nostro»? No. Magari potrebbero scriverlo sui manifesti abusivi.

mani in alto e pagate

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di Mauro Evangelisti
Avevano detto: non metteremo le mani nelle tasche degli italiani. Giuro, l'avevano detto. Infatti, ci pensano gli italiani a mettersi le mani in tasca per vedere se trovano ancora qualcosa. Dieci euro per pagare i ticket per quel genere di lusso che sono le analisi o una visita medica. A Roma e nel Lazio cercano pure qualche banconota per farsi carico delle aliquote maggiorate di Irpef (e Irap). E presto nella Capitale in un angolo delle tasche si darà la caccia anche a qualche moneta in più perché il biglietto dell'Atac (azienda a conduzione familiare) in un botto aumenterà del 50 per cento. Pensare che ci avevano promesso un mondo bellissimo, in cui non pagavi manco il bollo della macchina, una rivoluzione con lo slogan che appare lontano come un tormentone di Drive In «meno tasse per tutti». Intanto, il sindaco di Roma si diletta nell'ennesimo rimpasto perché doveva aspettare il Tar per accorgersi che c'è solo una donna in giunta (vedi a volte a distrarsi). Per premiare il merito arruola Rosella Sensi. E dopo quello del Gran premio di Formula Uno, tramonta anche il sogno del Grande parco della Romanità promesso dal vicesindaco invitato a togliere il disturbo perché non è donna.

sicurezza, sicurezza...

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Sulla sicurezza, a Roma, si va a mode passeggere. C'è stato il periodo degli accampamenti abusivi ed ecco tutte le forze concentrate in quella direzione. La movida violenta e si sono moltiplicate ordinanze e volanti schierate nelle piazze delle sbornie. E ancora: stazioni insicure - e sposta uomini a presidiare i binari - strade invase della prostituzione - e manda gli agenti a chiedere i documenti alle ragazze sul marciapiede.

Ora che a Roma si spara per strada si prende atto di un fenomeno che si conosceva ma che veniva lasciato sullo sfondo quasi non fosse importante. Lo ha spiegato l'altro giorno in un vertice in Prefettura il sottosegretario Alfredo Mantovano: «C'è una penetrazione della criminalità organizzata che sta acquisendo negozi, bar e ristoranti». E c'è una ridefinizione degli equilibri e delle zone di controllo della malavita (italiana e sembrava quasi ce ne fossimo dimenticati che i crimini non li commettono solo gli immigrati), per questo si spara per strada. Con un ultimo dettaglio su cui Mantovano è stato chiaro: non aspettatevi l'arrivano i nostri, la moltiplicazione di carabinieri e poliziotti: perché è già un grande risultato non avere tagliato. Più che d'interventi spot sulla moda del giorno, la sicurezza a Roma a questo punto necessita una strategia complessiva.

mercoledì 13 luglio 2011

il nuovo romanzo a caffeina: il 15 luglio

ricordo: venerdì alle 21, alla zaffera, quartiere medievale di viterbo, nell'ambito di caffeina, anteprima del romanzo di mauro evangelisti "chiedimi l'amicizia", partecipa l'autore (che sarei io) e mauro morucci. chi può, venga, almeno ci incontriamo

giovedì 23 giugno 2011

chi ha rubato la solitudine?

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di Mauro Evangelisti
Sta scomparendo la solitudine. Stanno svanendo le distanze. Gli addii. La noia. Il perdersi di vista. Sta succedendo lentamente, neanche ce ne rendiamo conto, ma questi anni Dieci stanno modificando le nostre vite. I telefonini stanno diventando più grandi e potenti e soprattutto smart. I computer più piccoli e portatili. I tablet, vabbè l'iPad, stanno a metà fra i due. La possibilità di connettersi è sempre più disponibile, economicamente e tecnicamente. Facebook, Skype, i forum, le vecchie chat, l'antichissima mail, messenger: saranno rapporti superficiali, ma sono sempre meglio della solitudine che, se ci pensate, era visto come uno spettro solo una decina di anni fa. Si dirà: non vale per gli anziani, coloro che quest'estate saranno sì condannati alla solitudine. Questo è vero purtroppo, ma solo in parte, perché anche fra chi ha superato i settanta sono numerosi coloro che sanno sfruttare al meglio le opportunità offerte dalla tecnologia. Stiamo superando le distanze, perché ormai non esistono più amici lontani, magari chiacchieriamo più spesso con la ex collega che si è trasferita in Giappone che con la vicina di scrivania noiosa. Ed è davvero difficile condannarsi alla noia, perché avremo sempre un supporto in tasca in cui ascoltare un po' di musica, leggere qualche news, commentare la foto di un amico su facebook, ubriacarsi con qualche giochino. Dice: ma la vita vera, le emozioni vere sono altre. Giusto, ma poiché non è che tutti i giorni possiamo incontrare il grande amore o commuoverci per la nascita di un figlio, mentre aspettiamo la metro possiamo sì leggere un buon libro ma a volte va bene pure giocare con Angry birds.

sabato 18 giugno 2011

governo alla frutta

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di Mauro Evangelisti
Le pesche in Romagna sono molto buone. Sembra ieri che chi scrive d'estate si svegliava alle 5 e andava in un magazzino della frutta a scaricare cassette. Ogni tanto addentava qualche nettarina ed era una goduria. Altre estati sono trascorse a fare il cameriere (molto imbranato) in una pizzeria o a pulire pullman in una carrozzeria. Ma non è durata per sempre. Bene, con una frase sfortunata, il ministro Renato Brunetta alla 7 ha fatto sapere che il problema dei precari e dei disoccupati è facile da risolvere: «Si alzino alle 5 e vadano a scaricare cassette ai magazzini della frutta». Se il ministro visitasse di più l'Italia vera, e non quella raccontata dai tronisti o dai grandi fratelli, vedrebbe in tante pizzerie ragazzi che lavorano sodo come camerieri per pagarsi gli studi o per vivere. Li troverebbe nei call center e anche a fare lavori più duri. Il punto non è se i ragazzi hanno voglia di lavorare (dei giovani in qualsiasi epoca si è sempre detto che sono degli sfaticati). Il punto è che si resta precari a due euro a 30-40 anni. Anche quando si è studiato sodo e bene. Verrebbe da dire - evviva la demagogia ogni tanto - che l'Italia che ha in mente il ministro è quella da una parte dei Piersilvi che vanno in giro con la Porsche e delle Trote catapultate nei consigli regionali con maxi stipendi, dall'altra dei figli di nessuno che anche a 30-40 anni e una laurea devono andare a scaricare cassette della frutta (e zitti). Due settimane fa "Titoli di coda", dopo le amministrative, osservò che Berlusconi e il resto del Governo non comprendono ciò che sta succedendo. Perdono tempo fra Minzolini e Santoro e non capiscono che le opinioni ormai si formano su Internet (anche se non solo). Ieri il sindaco di Firenze, Matteo Renzi, ha ribadito: «Senza Facebook il quorum non sarebbe stato mai raggiunto ai referendum». Il parlamentare del Pdl, Giorgio Stracquadanio, sobriamente se l'è presa con i dipendenti pubblici: «Certo che la sinistra vince su Internet: non fanno un cazzo. E se proprio lavorano alle 2 sono già fuori». Ecco, sempre per amor di demagogia, verrebbe da commentare che, forse, sarebbe meglio concedere meno tempo alle feste bungabunghesche e più a Facebook o Youtube. Ma anche il solo video di Brunetta che manda a quel paese i precari dicendo loro «siete la parte peggiore del Paese» dimostra che le lezioni non sono servite. Continuano a pensare che basti Minzolini, ma non si accorgono che con questi show restano intrappolati giorno dopo giorno nella rete.

don't call my name alemanno

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di Mauro Evangelisti
Ci sono cose che noi cronisti, anche quelli più coraggiosi, non avremmo mai sognato. Roberto Formigoni, ad esempio, che vive una nuova giovinezza e sfoggia una camicia a fiori, un pantalone viola, una maglietta di paperino. Fa bene a divertirsi, sia chiaro. Ma per la serie non ci sono più i conservatori di una volta e dalla bandana in poi nel centrodestra vale tutto, ecco la seconda scena che sembra tratta da una puntata dei Simpsons o da un sogno psichedelico causato da una fetta di torta alla marijuana in un coffee shop di Amsterdam: l'ex segretario del Fronte della gioventù, il primo sindaco di destra di Roma acclamato da qualche saluto romano sotto al Campidoglio il giorno della sua elezione, colui che un tempo militava insieme a un altro simpatico orco come Storace in Destra sociale, che incontra Lady Gaga. Sì, proprio lei, la madre di tutte le trasgressioni in confronto alla quale Madonna sembra il ministro Gelmini, la paladina dei diritti dei gay e di tutte le altre lettere della sigla Glbt, l'inventrice di look stratosferici e accecanti.

Ecco, provate a immaginarveli: Gianni Alemanno e Lady Gaga nella stessa foto. Certo, l'apoteosi si raggiungerebbe se all'incontro fosse invitata anche l'esplosiva presidente del Lazio, Renata Polverini, ma bisogna accontentarsi. Chissà se davvero il faccia a faccia Alemanno-Lady Gaga, per il quale sono in corso delle trattative, sabato in Campidoglio si svolgerà davvero. Ma solo poterlo immaginare fa comprendere che nessuno ci può impedire di sognare e che ormai davvero tutto è possibile.

berlusconi non twitta

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di Mauro Evangelisti
«Sono stato mal interpretato dai giornalisti». Questa frase, un tempo via di fuga facile per Berlusconi, è andata in disuso. Come mai? Perché ormai c'è sempre una telecamera o un telefonino in ogni angolo a documentare tutto. E le immagini digitalizzate non vengono più come un tempo rilanciate solo una volta e se voleva il direttore del tg, ma ritrasmesse una, dieci, centro, mille, un milione di volte, su internet.

E' questo che sta disorientando il grande comunicatore Berlusconi e il centro destra. La rete - almeno in parte - ha deciso la sconfitta nelle ultime amministrative più che in passato. Rischia di servire a poco il controllo di tre televisioni o la nomina di direttore del Tg1. Berlusconi, che era un fenomenale uomo di televisione, di internet sembra capirci poco e meno ancora i suoi collaboratori.

Gli sciagurati che consigliarono alla Moratti di dire la balla colossale contro Pisapia nel dibattito a SkyTg24 ragionavano con vecchie strategie. Molli il colpo basso, la trasmissione finisce, poco importa se poi sui giornali si faranno dei distinguo, nell'elettore resterà il dubbio. Non è più così: perché le immagini ora vengono riviste milioni di volte sui computer, sui laptop, sui tablet, sui telefonini. Linkate su Facebook. Vivisezionate, sbugiardate e ridicolizzate. In queste elezioni amministrative, come già in passato ma più che in passato, messaggi, slogan, sputtanamenti ritrasmessi su Facebook, Twitter, la rete in generale, hanno mosso molto di più di un tg addomesticato, del concerto con le ballerine, il cantante famoso, la battutona «il Milan non compra Hamsik».

Berlusconi e il centro destra appaiono in affanno. Sarà un caso, ma su internet, malgrado le professionalità e i mezzi di cui dispone, il gruppo editoriale Mediaset non ha la stessa forza d'urto che ha nel panorama televisivo. L'amico direttore può pure centellinare la notizia scomoda o il video imbarazzante, ma non basta. Ci pensa la rete, da un profilo all'altro, da una mail all'altra, da un blog all'altro, a fare passare il messaggio. Puoi pure fare chiudere Santoro, ma rischia di essere un ingenuo boomerang di chi - a quasi 75 anni - continua a pensare che il mondo giri solo attorno alla tv e, forse, non ha mai usato Facebook.

giovedì 2 giugno 2011

c'era una volta be bop alula

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di Mauro Evangelisti
Salvate il soldato Red Ronnie. Nella più assurda campagna elettorale del pianeta, in cui il sindaco uscente di Milano ha detto una balla contro il suo avversario proprio in chiusura di un dibattito tv, il resto della comitiva ha proseguito in una surreale sequela di accuse fantasiose. Al primo impatto, leggendo le sintesi a cui erano costretti i siti di news, pensavi che nelle redazioni fossero tutti impazziti. Da questa follia è nato di riflesso un vero e proprio genere di comicità. Su internet dilaga l'ironia sulle presunte colpe di Pisapia, giocando appunto sullo smarrito senso del ridicolo alla milanese. Bene, Red Ronnie sta pagando per tutti. Personaggio televisivo - il suo Be bop alula su Italia Uno una trentina d'anni fa era davvero innovativo ma il suo curriculum va ben oltre - oggi consulente della Moratti, nei giorni scorsi si è lasciato scappare una frase sfortunata sullo stop a un evento musicale («è l'effetto Pisapia»). Da allora la sua pagina su Facebook è stata occupata da chi ridicolizza la follia dei morattiani di incolpare Pisapia di tutti i mali del mondo. Alcune frasi sono pure molto divertenti, altre meno, ma soprattutto colpisce la potenza di fuoco: basta aggiornare la pagina ogni pochi minuti per leggere nuove battute. Red Ronnie alla fine si è arreso e sul suo blog ha scritto: «L'invasione che sto subendo da ormai 5 giorni nella mia pagina Red Ronnie di Facebook è qualcosa per me assolutamente inspiegabile. Un post al secondo, 80.000 in un giorno. Per questo ho abbandonato Facebook agli invasori». Come si vede, questa volta non dice che la colpa è di Pisapia. Ma al di là dell'ironia, forse una domanda andrebbe posta: la pagina su Facebook è qualcosa di molto personale, forse non dovrebbe essere tenuta fuori dalla battaglia politica?

è internet, bellezza

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di Mauro Evangelisti
«Sono stato mal interpretato dai giornalisti». Questa frase, un tempo via di fuga facile per Berlusconi, è andata in disuso. Come mai? Perché ormai c'è sempre una telecamera o un telefonino in ogni angolo a documentare tutto. E le immagini digitalizzate non vengono più come un tempo rilanciate solo una volta e se voleva il direttore del tg, ma ritrasmesse una, dieci, centro, mille, un milione di volte, su internet.

E' questo che sta disorientando il grande comunicatore Berlusconi e il centro destra. La rete - almeno in parte - ha deciso la sconfitta nelle ultime amministrative più che in passato. Rischia di servire a poco il controllo di tre televisioni o la nomina di direttore del Tg1. Berlusconi, che era un fenomenale uomo di televisione, di internet sembra capirci poco e meno ancora i suoi collaboratori.

Gli sciagurati che consigliarono alla Moratti di dire la balla colossale contro Pisapia nel dibattito a SkyTg24 ragionavano con vecchie strategie. Molli il colpo basso, la trasmissione finisce, poco importa se poi sui giornali si faranno dei distinguo, nell'elettore resterà il dubbio. Non è più così: perché le immagini ora vengono riviste milioni di volte sui computer, sui laptop, sui tablet, sui telefonini. Linkate su Facebook. Vivisezionate, sbugiardate e ridicolizzate. In queste elezioni amministrative, come già in passato ma più che in passato, messaggi, slogan, sputtanamenti ritrasmessi su Facebook, Twitter, la rete in generale, hanno mosso molto di più di un tg addomesticato, del concerto con le ballerine, il cantante famoso, la battutona «il Milan non compra Hamsik».

Berlusconi e il centro destra appaiono in affanno. Sarà un caso, ma su internet, malgrado le professionalità e i mezzi di cui dispone, il gruppo editoriale Mediaset non ha la stessa forza d'urto che ha nel panorama televisivo. L'amico direttore può pure centellinare la notizia scomoda o il video imbarazzante, ma non basta. Ci pensa la rete, da un profilo all'altro, da una mail all'altra, da un blog all'altro, a fare passare il messaggio. Puoi pure fare chiudere Santoro, ma rischia di essere un ingenuo boomerang di chi - a quasi 75 anni - continua a pensare che il mondo giri solo attorno alla tv e, forse, non ha mai usato Facebook.

domenica 8 maggio 2011

bin laden, gasparri, gheddafi, berlusconi, il milan

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Mauro Evangelisti
Nei giorni successivi alla vittoria di Obama nella corsa per la Casa Bianca, Maurizio Gasparri (presidente dei Senatori del Pdl): «Su Obama gravano molti interrogativi, con Obama alla Casa Bianca forse Al Qaida è più contenta». L'altro giorno Bin Laden è stato ucciso.

Nei giorni della rivolta in Libia, Silvio Berlusconi, presidente del Consiglio: «Sono preoccupato, ma non mi permetto di disturbare Gheddafi». Ora l'Italia bombarda Gheddafi.

28 aprile 2011, comunicato della presidenza del Consiglio: «In merito a quanto riportano erroneamente alcune agenzie di stampa, il Presidente Silvio Berlusconi si è ben guardato dall'esprimere un pronostico sullo scudetto al Milan anche per evidenti ragioni scaramantiche». Ecco, sulle cose serie meglio essere prudenti.

il male e i giovani

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Mauro Evangelisti
Matteo ha 19 anni e ha quasi ucciso un carabiniere, che ora è in coma, solo perché lo aveva trovato positivo all'alcoltest. Domenica mattina Matteo e tre diciassettenni, due ragazzi e una ragazza, dopo aver trascorso il sabato notte in giro per Firenze, stavano andando a un rave in provincia di Grosseto. Fino a non molti anni fa guardavano ancora i cartoni animati e non potevano guidare un motorino, domenica Matteo e i suoi amici si sono scoperti violenti e crudeli, hanno afferrato un palo e colpito alle spalle due carabinieri che avevano fermato la loro auto per dei controlli. Uno rischia di perdere un occhio, l'altro, quello in coma, ha un figlio di tredici anni.

Matteo è rappresentante d'istituto nella scuola superiore che frequenta a Empoli, i suoi compagni raccontano: «Ha fatto una cosa inaccettabile, ma noi lo conosciamo come un leader, come una persona responsabile, non come un bullo».

Il gip che lo ha lasciato in carcere ha scritto che Matteo ha agito con «ferocia inaudita, spietatezza e lucidità». I genitori dei due diciassettenni che hanno aiutato Matteo a massacrare i due carabinieri sono sorpresi, disperati, non riescono a credere a ciò che hanno fatto i loro figli. Un vigile urbano intervenuto dopo l'arresto ha spiegato: «Non dimenticherò mai gli occhi impassibili dei tre ragazzi, mentre la giovanissima gridava che lei non c'entrava niente».

Il padre di Matteo, un operaio, ha detto: «Il mio primo pensiero va ai carabinieri feriti e alle loro famiglie. E' una storia inaudita, queste cose le ho sempre viste nei film. Siamo gente per bene, noi. Siamo sconvolti, ma se hanno sbagliato Matteo e gli altri devono pagare. Spero che non esca fuori che fosse anche drogato, non ci voglio credere». La madre di Matteo: «Sabato sera eravamo a cena e lui ha rifiutato anche la birra che gli offriva mio fratello: "Lascia perdere, zio, devo guidare" gli ha risposto».

Dopo i primi rilievi c'è il sospetto che nell'auto, la Clio della nonna di Matteo che aveva preso la patente da quattro giorni, ci fossero tracce di ketamina. È una storia non inedita ma - come sempre avviene quando t'imbatti nel male che non comprendi - che ferisce e inquieta. Sono tre ragazzi, non sono un'intera generazione.

giovedì 21 aprile 2011

Evangelisti lagnoso e Berlusconi e i valori della famiglia

 
     
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Mauro Evangelisti
Fateci capire. La settimana scorsa un miliardario ultrasettantenne che organizza feste notturne e non proprio parrocchiali con ragazze hanno cinquant'anni meno di lui e che spesso, casualmente, lavorano per il suo impero televisivo, ha fatto la morale agli insegnanti delle scuole pubbliche che con molto meno di 2.000 euro al mese spesso fanno i salti mortali per garantire un futuro alla propria famiglia, per arrivare alla fine del mese. Ha detto, il signore ultrasettantenne che fa le feste con ragazze dai nomi esotici, che gli insegnanti delle scuole pubbliche non difendono i valori della famiglia. Vabbè, poco male, Berlusconi fa il Berlusconi. Tutto regolare. Colpisce altro, che ad applaudire ci sia sempre qualche associazione di madri, genitori, famiglie, nessuno che si faccia una domanda e dica, aò, c'è qualcosa che non torna. Forse è un errore, ma viene da pensare che quelle signore così per bene che applaudono l'uomo del bunga bunga ogni qual volta pronuncia la parolina magica "famiglia" siano le stesse che spargono veleno scandalizzato di fronte alla ragazza madre, a una coppia divorziata che pure fa il massimo per non fare pagare i propri errori ai figli, all'immigrata che sgobba per mantenere i propri bambini; sono le stesse signore tanto per bene che negli anni Settanta votavano contro il divorzio, che oggi vedono due ragazzi gay che si tengono la mano e dicono "dove andremo a finire". Una repubblica fondata sul bunga bunga e sulla famiglia, ecco cosa dovremmo scrivere sulla Costituzione.

Il commento più divertente arrivato a ilmessaggero.it:

peggio delle signore
berlusconi è quello che è e purtroppo c'è chi lo vota.
Evangelisti è più lagnososo delle signore che critica.
la differenza è che le signore possiamo non sentirle, quando acquistiamo il Messaggero,Evangelisti
lo dobbiamo leggere.
Edmondo

sabato 16 aprile 2011

Microspie alla Regione Lazio, il giallo delle date

Due  delle tre microspie trovate in Regione erano state installate regolarmente per un’indagine della procura di Velletri sui rifiuti. Eppure, questa conclusione non ha chiuso il giallo. Anzi. Fra qualche giorno alla procura di Roma sarà consegnata la relazione dei consulenti. Ci sono ancora molti punti interrogativi. Che lampeggiano se vai a incrociare le date di questo pasticciaccio. Partiamo da un elemento: venerdì 8 aprile la presidente della Regione, Renata Polverini, viene ascoltata dalla procura di Velletri come persona informata sui fatti per l’inchiesta sui rifiuti. Il giorno dopo in Regione inizia la bonifica di tutti gli uffici, disposta dal segretario generale per verificare se vi fossero delle microspie. Il primo giorno si passano al setaccio diversi assessorati, a partire da quello alla sanità, ma non emerge nulla. Il secondo giorno, e siamo a domenica 10 aprile, viene trovata la prima microspia nella segreteria dell’assessorato ai Rifiuti. A quel punto la società incaricata intensifica i controlli e trova gli altri due impianti, uno dei quali è proprio nell’ufficio della Presidenza della Regione. Qualche ora dopo la Polverini scrive al prefetto, per informarlo, mentre i suoi collaboratori chiamano la procura della Repubblica di Roma. C’è urgenza di rimuoverle, perché la Polverini ha alcuni appuntamenti pubblici in programma e non può lavorare con una microspia in ufficio. Così, i tecnici della Regione decidono la rimozione, ma soprattutto lunedì pomeriggio la Polverini fa la conferenza stampa in cui denuncia, pubblicamente, il ritrovamento di «tre misteriose microspie». Tutto chiaro? Venerdì va in procura e viene a sapere che c’è un’inchiesta sui rifiuti (lei non è indagata, lo sono due dirigenti); sabato inizia la bonifica, domenica, vengono trovate le microspie; lunedì la denuncia pubblica del ritrovamento. Domanda: come mai la bonifica è stata fatta proprio il giorno successivo al passaggio in Procura? In Regione assicurano che è stato solo un caso: in realtà quell’operazione era stata decisa da tempo, da quando erano emerse le anomalie dei badge anonimi che consentivano di entrare nel Palazzo e dopo che erano state constatate numerose fughe di notizie. Altra domanda: se la Polverini e il suo staff, dopo l’incontro con il magistrato alla procura di Velletri di venerdì 8 aprile, sapevano che c’era un’inchiesta in corso, perché lunedì 11 aprile hanno convocato una conferenza stampa e dichiarato che erano state trovate tre microspie misteriose? Non sarebbe stato naturale pensare subito che quelle microspie erano state messe dalla procura di Velletri (una era proprio nell’area dell’assessorato ai Rifiuti) invece che ipotizzare servizi deviati e teoremi vari? In Regione sostengono che nessuno aveva pensato alla procura di Velletri: più che a un’inchiesta, l’interesse dei giudici faceva pensare ad accertamenti ordinari, quindi nessuno aveva fatto 1 più 1 con le microspie. E comunque resta la domanda ancora senza risposta: l’impianto trovato nell’ufficio della Polverini - in una intercapedine che lo divide da quello della segretaria - chi l’ha messo? Era lì già dai tempi di Marrazzo?

venerdì 15 aprile 2011

ora siamo quasi un paradiso

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Mauro Evangelisti
Ecco, ora l'Italia ha davvero risolto i suoi problemi. I giovani senza lavoro, i meno giovani con un lavoro precario da 800 euro al mese, i cassintegrati, gli anziani con una pensione risicata e i soldi per le medicine che non bastano mai, i pazienti in fila nei pronto soccorso affollati dove devi aspettare una vita, gli imprenditori taglieggiati dalla mafia, la gente dei territori controllati dalla criminalità, gli operai che protestano perché rischiano il posto salendo sulle impalcature, gli stessi immigrati che la chiedevano non appena su un barcone riuscivano ad approdare a Lampedusa, tutti i concorrenti del Grande Fratello, i tronisti di Uomini e donne, gli ospiti delle urlanti litigate a Pomeriggio 5, i figuranti di Forum, quelli che accolgono il premier a Matrix dicendo «lei ci ha portato la luce», le pupe e i secchioni: tutti la invocavano, c'era un intero Paese ad attenderla con ansia e che oggi si considera migliore, rinfrancato, quasi un paradiso. Finalmente c'è: la prescrizione breve. Strano, non si sentono i clacson delle auto per strada che festeggiano.

sabato 2 aprile 2011

Johnny Nuovo, di Mauro Evangelisti

Johnny Nuovo, di Mauro Evangelisti

veri pesci d'aprile

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MAURO EVANGELISTI
Uno vorrebbe inventarsi una finta notizia gagliarda per il primo aprile. Tipo che un ministro dalla voce profonda ha detto vaffa al presidente della Camera che un tempo era suo fraterno amico. No, una meglio: tipo che mentre c'è la guerra e l'emergenza Lampedusa tre ministri lasciano in tutta fretta la riunione di Governo per correre a votare un verbale e che poi uno di loro perde le staffe e tira la tessere contro i deputati perché non ha fatto in tempo.

Magari potremmo dire che un onorevole - onorevole? - ha pensato bene di insultare pesantemente una parlamentare della fazione opposta perché è disabile. O, ancora, che a Lampedusa dove pure ci sono parecchi casini è stato promesso che aprirà il casinò.

No, ecco una finta notizia geniale: scriviamo che a Forum addirittura hanno chiamato una falsa terremotata per dire che adesso all'Aquila tutti hanno la casa con giardino, fiorellini e gnometti. Anzi: una ancora più bella, una telenovela con la ministra che se la intende con un capogruppo di un partito non più amico. Ecco, sarebbero state tutte idee divertenti per il primo aprile. Solo che sono notizie vere.

la tv fatta a pezzi

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MAURO EVANGELISTI
Provate a pensarci: negli ultimi mesi è molto probabile che le sequenze più interessanti della tv - quelle che più vi hanno fatto riflettere, scosso, divertito, fatto discutere - non le abbiate viste in tv. La tv senza la tv.

Un ministro che ogni tanto manda a quel paese qualcuno, un premier che bacia la mano a un dittatore nordafricano, un finto terremotato che sperimenta il processo breve di Forum, il finale pazzesco di una partita di basket con il telecronista spagnolo che perde la voce, le parodie geniali delle canzoni di Elio, la gaffe della giornalista di un tg, la bestemmia in un reality, il trans dalla doppia voce di un talent show asiatico, Benigni al festival, l'intervista al vostro scrittore preferito, il monologo del comico che vi fa più ridere.

Sono prodotti della tv a cui però sempre più spesso arriviamo seguendo le scorciatoie frammentate e concentrate di Youtube, rilanciati da un amico su Facebook, da qualche sito di informazione, dal tam tam della rete. Viene da chiedersi, ovviamente con un'esagerazione: i programmi, per intero, dall'inizio alla fine, salvo qualche partita di calcio, salvo i bambini e gli anziani, li guarda ancora qualcuno?

ospedali e privilegi dei politici

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MAURO EVANGELISTI
Certo, uno teme di ritrovarsi senza volerlo nel terreno scivoloso del qualunquismo, di finire con frasette di circostanza «è tutto uno schifo, intanto sono tutti uguali». Poi, però, quando metti in fila certe notizie ripensi sempre alla signora di 83 anni che deve aspettare chissà quanto per la terapia del dolore perché all’ospedale San Giovanni di Roma è stato ridotto il reparto causa tagli alla sanità del Lazio.
Ripensi anche alle centinaia di persone ogni giorno in fila ai pronto soccorso e ai consiglieri regionali del Lazio che si sono inventati altre quattro commissioni, per arrivare a quota venti, spendere altri cinque milioni di euro senza spiegare perché, in Lombardia, di commissioni ne bastano dieci.
Certo, in Emilia-Romagna hanno deciso di eliminare i vitalizi, ma perché dovremmo farlo anche nel Lazio? Bene, in queste ore nuovi fuochi d’artificio in Campidoglio, grande festa perché il governo vara un decreto per consentire di allargare a quindici la giunta di Roma Capitale, 12 assessori per carità non bastano a soddisfare tutti gli appetiti, le correnti e i possibili nuovi alleati.
Poco importa se tre assessori in più andranno pagati (e non poco) così come costerà l’allargamento del consiglio comunale a 60. Pensi anche a questo mentre rischi di cadere con lo scooter nei crateri che funestano le strade più importanti di Roma, non ci sono i soldi per ripararle. Ma in fondo non siamo qualunquisti.

giovedì 17 marzo 2011

hereafter. tsunami. giappone

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di Mauro Evangelisti
Tsunami. Il bellissimo film di Clint Eastwood "Hereafter", prodotto prima dell'immane tragedia che ha travolto il Giappone, racconta una storia che riflette su un tema eterno eppure così spesso volutamente e umanamente dimenticato, rimosso da ognuno di noi: il rapporto fra l'uomo e la morte, fra il prima e il dopo, se ci sarà un dopo. E quel film inizia mostrando l'effetto improvviso, inarrestabile, impensabile di uno tsunami, quello del sud-est asiatico del 2004.

Le immagini di Eastwood, della ricostruzione della finzione sono molto simili a quelle della realtà che decine di videocamere e telefonini hanno ripreso in Giappone e che ogni giorno rivediamo. Le immagini della realtà nella loro macabra e triste spettacolarità andrebbero sempre incrociate con i numeri, con la contabilità delle persone - cinquemila, diecimila - che lo tsunami ha travolto e ucciso. Cinquemila, diecimila vite, cinquemila, diecimila quotidianità, sogni, speranze, frustrazioni, felicità per un amore o un figlio appena nato, meschine delusioni per una promozione non ottenuta, un'automobile più brutta di quella del vicino.

Tutto spazzato via dalla forza dello tsunami, ancora più devastante di quella del terremoto, che mostra quanto siano fragili la vita, le vite, le felicità e gli affanni con cui ogni giorno ci confrontiamo pensandoli eterni, importanti, decisivi. Ci resta l'immagine, fra le tante, di una ragazzina che piange seduta su una collina di detriti, nel cuore della distruzione dello tsunami, con il viso coperto dalle mani per celare le lacrime.

venerdì 11 marzo 2011

Chiedimi l'amicizia (fra tre mesi)

Chiedimi l'amicizia, comincia il conto alla rovescia...

giovedì 24 febbraio 2011

pazienti in barella, più soldi ai consiglieri regionali. Lazio

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Mauro Evangelisti
L'altro giorno una signora romana di 70 anni, con problemi di salute, ha telefonato al Messaggero per raccontare che il medico le aveva consigliato un esame, un'ecografia renale, ma al centro prenotazioni le avevano detto che c'era posto solo fra sette mesi. Tre settimane fa in un grande ospedale del quadrante est di Roma è stato battuto il record di pazienti parcheggiati sulle barelle nel pronto soccorso, anche per cinque giorni, perché i reparti sono pieni: erano 73. Negli altri ospedali romani la situazione è molto simile. L'altro giorno un bambino, in lista da mesi per un delicato intervento chirurgico in un altro grande ospedale romano, non è stato operato e dovrà aspettare chissà quanto: visto che c'è l'affollamento dei pronto soccorso e servono posti nei reparti, i ricoveri programmati, come quelli per un intervento, sono stati contingentati dalla Regione. Questa mattina il consiglio regionale del Lazio istituirà quattro nuove commissioni, che si aggiungono alle 16 già esistenti, almeno il doppio di qualsiasi altra regione. Ogni presidente di commissione guadagna 1.500 euro in più, ha uno staff e può usare l'auto blu, poi ci sono due vicepresidenti che guadagnano 650 euro in più. Sono soldi che si aggiungono al "normale stipendio" da 10.000 euro da consigliere regionale. Tutti i partiti, di maggioranza e di minoranza, hanno detto sì a queste nuove commissioni che, secondo i Radicali (che si sono opposti), costeranno circa cinque milioni di euro.

giovedì 17 febbraio 2011

libertini e libertari

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di Mauro Evangelisti
Per dimostrare che anche nel centro sinistra ci sono dei birbaccioni che fanno cosacce e che quindi non bisogna guardare solo nella villa rubyconda del re nudo, l’altro giorno è stato chiamato in causa il leader emergente Vendola. La rivelazione era stupefacente: pensate che da giovane Vendola - che ardire - è andato in una spiaggia nudista. Wow. E il giovane Vendola in una spiaggia nudista - che originale - si è messo nudo. Ma pensa. Ora che si avvicina il giorno del giudizio si attendono nuove imbarazzanti e strabilianti rivelazioni su quei moralisti del centro sinistra. 1. Foto di Franceschini che una volta, nel 1984, andò allo spuma party dell’Amnesia a Ibiza; 2. Testimonianza sul giovane Zingaretti che in un’edicola sulla Prenestina sbirciò una copia del fumetto porno Lando; 3. Video in cui si vede chiaramente Bersani bere tre bicchieri di Limoncello a fine pasto senza reggerli. E poi, ovviamente, un ripasso del caso Marrazzo che non fai male. Ah, già: però lui si era dimesso.

le lacrime di roma

copia e incolla da ilmessaggero.it


di Mauro Evangelisti
C'era un accampamento abusivo all'inizio del percorso di Gianni Alemanno, c'è un accampamento abusivo nella sua fase più difficile da quando è sindaco di Roma. Il primo era quello a ridosso dalla stazione di Tor di Quinto, da cui partì l'assassino di Giovanna Reggiani, l'ultimo è quel pugno di baracche sull'Appia Nuova dove un rogo ha ucciso quattro bambini rom. All'inizio del filo c'era la facilità con cui si possono lanciare accuse, critiche anche giuste, proclami a sprazzi spendibili solo grazie a una certa tolleranza romana alle sparate (dove un candidato a sindaco potrebbe promettere l'allontanamento di 20.000 immigrati?). La realtà purtroppo è molto più complessa dei proclami elettorali, il fenomeno dell'immigrazione, dell'emarginazione, della povertà, dell'integrazione è problema più articolato di uno slogan scritto su un manifesto. Quella maledetta domenica Gianni Alemanno, guardando i quattro carpi dei bimbi morti nel rogo sull'Appia Nuova, era un uomo realmente scosso nel profondo, sentiva con sincerità il peso del dolore e della sofferenza. Ora appare più solo ed è un'immagine simbolica quella del ministro leghista Maroni che sembra abbandonarlo. Lasci alle spalle la vasta gamma di proclami-progetti-scivoloni maldestri - gli spot dell'esercito per strada, il tempo perso per il gran premio fantasma, la promessa di spostare la teca dell'Ara Pacis, la parentopoli dei bus, l'azzeramento della giunta di cui ha parlato e sorriso tutta Italia. Alemanno ha di fronte una sfida: dare una vera svolta alla legislatura, fare quelle cose - concrete - che stavano alla base della sua vittoria elettorale. Perché qualcuno prima o poi non dica: Veltroni buttava i soldi nella Notte bianca, ma almeno quella la faceva.

giovedì 27 gennaio 2011

l'importanza di dare il giusto peso alle cose della vita

Copia e incolla da ilmessaggero.it

Mauro Evangelisti
E poi c'è l'amore vero, o almeno quello che pensiamo sia tale quando siamo molto giovani. Che a volte si trasforma in amore folle nel senso che fa commettere follie. La notizia è della settimana scorsa: un ragazzo romano di 23 anni, uno come tanti, è morto a causa di gravissime ustioni dopo che aveva tentato di dare a fuoco la sua automobile. Perché voleva bruciare la sua Golf? Voleva dimostrare alla fidanzata quanto l'amasse, farsi perdonare un tradimento. Una follia, certo, a volte succede quando si ha poco più di vent'anni. E una cosa bisognerebbe insegnare a scuola, ai ragazzi (ma a volte anche agli adulti, a quei mariti che si uccidono o uccidono disperati per un addio): che quasi mai il dolore di una relazione finita a 20 anni è per sempre, che una delusione d'amore che a volte ci sembra una montagna che ci sta crollando addosso fra sei mesi si sarà già annacquata, fra due anni penseremo ad altro, quando avremo 40 anni ci guarderemo indietro e ricorderemo quella delusione perfino con nostalgia e tenerezza. Vale per tutto: per la ragazza che a 20 anni ti lascia, per l'esame andato male, per un litigio o gli insulti di qualche bullo. Per cui non vale mai la pena fare cose irreperabili, tanto più quando si hanno 20 anni. Questo, in fondo, bisognerebbe insegnare a scuola.

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