venerdì 28 maggio 2010

johnny nuovo, i commenti degli amici/2

johnny nuovo, i commenti degli amici/2

Alessandra Migliozzi
"...un gradino sotto Ammaniti di come Dio Comanda, sullo steso gradino del Dazieri di Cemento armato..."

Valentina Possenti
"...bello il riferimento alle tre dimensioni temporali che si intreccia. insomma, bel lavoro..."

Fabio Rossi
"...secondo me il personaggio in cui l'autore si riconosce di più è quello di Franco, il ristoratore..."

Sandra Casadei
"...il grande problema che ho riscontrato è che è scritto così male che faccio fatica ad andare avanti..."

Clio Pedone
"...Centoundici pagine scorrevoli ed essenziali, che inducono il lettore ad una profonda speculazione sull’essenza dell’esistenza. Il lieto fine è l’illusione degli umani..."

Previously in Johnny Nuovo...

johnny nuovo, i commenti degli amici
I primi commenti degli amici sul mio romanzo "Johnny Nuovo":


Romina Lapertosa
"...la storia è un po' da psicopatici/sociopatici ma chi non lo è ai ns giorni?"


Andrea Spada
"...ho apprezzato la tua idea di sviluppare la storia su più piani temporali e mi sono piaciuti alcuni passaggi sulla descrizione dei personaggi, soprattutto relativamente alla loro povertà, non di soldi, ma di animo..."

Mara Pasquini
"...se uno ti conosce bene si vede che c'è molto di te nella storia..."


Pietro Piovani
"...è il prodotto di una mente malata..."

Alessia Marani
"...si legge velocemente ma ti resta in testa a lungo, ti fa pensare molto..."

Davide Desario
"...ci sono dei passaggi forti, duri, è un romanzo tosto..."

Enza di Monti
"...aò, ma voi giornalisti ve siete messi tutti in testa de fare gli scrittori?..."


Raffaella Troili
"... alla prima lettura ti lascia interdetta, alla seconda è bellissimo..."


Dina Nascetti
"...te lo leggi tutto di un fiato in una notte, perché ti cattura, ma mette una grande ansia..."


Chiara Partisani
"...la meglio è la giudice, la madame Bovary sfigata, mitica..."

Barbara Boattini
"...alla fine ti arrabbi con lo scrittore perché non spiega le ragioni che hanno spinto K a rinchiudere il bambino..."

Simone Canettieri
"...è bellissimo, in fondo K chiude Johnny in una stanza per proteggerlo dalla sofferenza, non vuole che soffra come ha sofferto lui..."


Matteo Alvisi
"...Una storia semplice e avvincente, costruita su diversi piani temporali..."


Stefania Piras
"...figure che fotografano l’instancabile sguardo del cronista e la sospensione lirica di chi impagina storie che durano un giorno..."

Giovanni Bartoloni
"...mi è piaciuto, però è troppo melenso il primo capitolo, con le rose lanciate in aria..."

Vanna Ugolini
"...bello. molto bello, ma vabbè, Garcia Marquez è un'altra cosa..."

Luca Benigni
"...mi è piaciuto assai ma mi ha comunque lasciato una sensazione come se mancasse ancora qualcosa, un pezzo, una via d’uscita..."


Fabio Fattore
"...coinvolge il lettore e lo trascina nei meandri di una mente malata ma lucida..."


(continua:)

giovedì 27 maggio 2010

l'analisi sulla crisi di bangkok

copia e incolla da facebook
il testo è del del bravissimo fotoreporter DARIO PIGNATELLI, tornato da poco da Bangkok dopo avere seguito le proteste dei rossi:

scrive DARIO PIGNATELLI

Piu' volte avrei potuto pubblicare articoli su quel che stava accadendo attorno a casa mia a Bangkok. Per vari motivi, anche personali, e nonostante la gamba rotta mi desse tanto tempo per scrivere anche di questo, avevo poi lasciato perdere o evitato di pubblicare cio' che scrivevo sul mio diario. Ora, siccome mi e' stato chiesto di farlo per un'agenzia fotografica che pero' non esita anche a pubblicare testi come fosse un blog, ho scritto un resoconto dei fatti con annesse mie considerazioni personali, frutto di quel che ho visto e di quel che ho capito del mio nuovo paese adottivo. Ecco qui di seguito, l'articolo.

LA THAILANDIA SENZA PADRE

Cosi’ come e’ difficile capire come mai un Thai, sdraiato sul suo letto nel tempio di Wat Phrabat Nampu, dove i malati di AIDS vengono abbandonati dalle loro imbarazzate famiglie, ti sorride mentre gli stai scattando una fotografia, e’ difficile comprendere il sorriso del primo ministro Abhisit Vejjajiva ai reporter, subito dopo aver seriosamente annunciato la fine delle operazioni militari contro i manifestanti antigovernativi e aver fatto la conta dei morti in diretta Tv.

La Thailandia ha vissuto, nelle ultime dieci settimane, uno dei suoi periodi piu’ cupi. Son rimasti sull’asfalto delle strade di Bangkok almeno novanta morti, tra i quail un cameraman giapponese della Reuters e Fabio Polenghi, fotografo freelance di Milano, e piu’ di milleottocento feriti, di cui una cinquantina ancora in pericolo di vita. Il tutto sotto gl’occhi sgomenti delle televisioni e dei turisti di tutto il mondo, abituati a pensare a questo paese come un paradiso vacanziero, il paese dei sorrisi, appunto.

La cronaca delle dirette CNN, Al Jazeera e BBC, ma anche su Twitter e su Facebook, ha mostrato al mondo come per piu’ di due mesi i manifestanti rossi dell’ UDD (Union for Democracy against Dictatorship) abbiano occupato indisturbati e senza freni, neanche legali, due aree fondamentali della capitale del paese, la via Rajadamnoen che va dal palazzo del governo al palazzo reale, e l’area dei centri commerciali tra I piu’ grandi di tutto il sudest asiatico chiamata Ratchaprasong. L’epilogo, dopo un paio di settimane in cui sembrava potesse prevalere il dialogo ed in cui il governo aveva promesso elezioni e dissoluzione del parlamento, e’ invece e purtroppo stato sanguinoso: i soldati hanno prima cacciato I manifestanti da Rajadamnoen nella violenta notte del 10 aprile, durante la quale il fronte e’ stato Kao Sarn road, la piu’ turistica delle vie di Bangkok. In un mese tutti si sono dimenticati dei primi ventotto morti e degl’ottocento feriti tra i quail il sottoscritto e le operazioni militari sono riprese, culminando il 9 maggio in una settimana di scontri, con i soldati ad avanzare con i cingolati ed i rossi a difendersi , dietro barricate fatte di pneumatici e aste di bambu’,con le molotov, le fionde ed alcune, va detto, armi uscite fuori da non si sa dove. Anzi, si sa. Ho visto con I miei occhi, il 9 aprile, quando I rossi assaltarono la centrale delle telecomunicazioni a 100 chilometri a nord di Bangkok, l’esercito retrocedere e fare il madornale errore di lasciare in mano ai manifestanti interi camion pieni di armi. La conferenza stampa dei leader rossi che gentilmente restituivano il maltolto ai soldati era evidentemente una delle tante messe in scena. Ma nessuno ha poi indagato o cercato dove fossero finiti i numerosi M16 spariti quel giorno. Allo stesso modo, agl’occhi di noi occidentali, e’ difficile capire come si possa lasciare in un paese che vuole definirsi democratico, che per vari mesi ci siano lanci di granate esplosive contro obiettivi militari e civili, senza che nessuno abbia la minima idea o indizio su chi sia stato davvero a lanciarle. Alla fine i militari hanno avuto ovviamente e forzutamente la meglio, riprendendosi la citta’, ma nulla hanno fatto per impedire che numerosi rossi o altri contestatori se ne andassero lasciando dietro di se incendi ed esplosioni che han fatto del centro cittadino e commerciale un insieme di palazzi neri e sventrati, e assaltassero le principali sedi dei governi provinciali nel nord e nel nordest del paese, roccaforte dei militanti antigovernativi.

E’ difficile dare una definizione del manifestante rosso. Si sa e si vede dai loro gadjet, che sono quasi tutti a favore dell’ex premier Thaksin Shinawatra, ora scappato all’estero perche’ incriminato per corruzione ed abuso di potere e condannato a due anni e mezzo di carcere. Si sa e si vede che spesso e’ gente arrivata dalle risaie dell’Issan, la piu’ povera delle regioni thailandesi, nel nord est. Ma non solo: tra i rossi numerosi sono i militanti della stessa Bangkok, gente del ceto medio, medio basso e basso tout court. In una metropoli di 15 milioni di abitanti e’ facile immaginare quanta gente povera ci sia, quante siano le persone stufe del potere dell’elite dirigente del paese. Quasi tutti soffrono la fine del governo di Thaksin, che li aveva abituati e viziati con le sue politiche populiste. Nessuno si ricorda di quanti morti abbia lo stesso ex premier sulla coscienza, per esempio nella sua poco trasparente lotta ai narcotrafficanti. In pochi hanno capito che forse, gia’ che c’erano, era meglio andare oltre all’idea della lotta per farlo tornare, e cosi’ e’ stato facile per il governo attuale additarli come i prezzolati seguaci del corrotto e latitante “tra terrazze sul mare del Montenegro e boutiques alla moda parigine” ex leader Thaksin.

La tanto decantata road map del governo di Abhisit Vejjajiva e’ stata da subito una mezza presa in giro. Al di la del fatto che, nel mentre il governo proponeva colloqui di pace, si iniziava a tagliare ogni diritto dei manifestanti, per esempio togliendo la spina ai loro canali televisivi e radiofonici, con l’accusa un po vaga di diffondere informazione di parte. Tutti sanno ma pochi ne parlano che ad ottobre si designera’ il successore del generale Anupong, capo supremo dell’esercito. Chi sara’ al potere in quel periodo potra’ scegliersi il generale da mettere in regia e non e’ poco in un paese in cui ci sono stati 17 colpi di Stato militari negli ultimi 40 anni. E’ lampante che la proposta di indire elezioni il 14 novembre, ovvero a giochi gia’ avvenuti, non sia dettata solo dai tempi per stampare le schede elettorali. E’ altrettanto ovvio che questa partita crei malumori all’interno dell’esercito stesso, creando i cosidetti “Watermelon” o angurie, ovvero militari verdi fuori ma rossi, come i manifestanti, dentro.

Cosa abbia spinto il primo ministro Abbhisit all’uso di tanta forza, spesso spropositata nei confronti di manifestanti principalmente, ma non solo, armati di fionde, petardi e razzi fatti in casa, restera’ forse un mistero, anche perche’ bisogna capire prima una cosa fondamentale di questo paese, qui il primo ministro non ha per forza il potere esecutivo come lo diamo per scontato noi, nati e vissuti in un paese che bene o male puo considerarsi una democrazia acquisita.

Qui in Thailandia il primo ministro con il suo governo e’ solo uno dei tanti poteri a decidere le sorti del paese. Ci sono, ad armi pari, i militari, che come detto vantano una lunga tradizione di colpi di Stato, non sempre pacifici. I militari, grazie al loro potere, si garantiscono sempre – proprio non perdono occasione – una fetta enorme delle risorse dello Stato e spesso son legati ad una o l’altra fazione politica, sono palesemente attori anche della vita economica del paese, per poi spesso dimenticarsi di tenersi pronti a gestire in maniera decente una folla di diecimila persone, che seppur arrabbiata, motivata e ben organizzata, per oltre dieci settimane e’ parsa piu’ una scampagnata di contadini che una folla inferocita e assetata di guerra civile.

Un altro potere che nell’ultimo periodo ha mostrato di decidere da se il da farsi e’ la polizia di Stato. E nessuno si e’ poi tanto meravigliato, tra i thailandesi, del fatto che i poliziotti fallissero ogni qual volta fossero stati incaricati di fermare i manifestanti nelle loro carovane di motorini che, improvvisamente e per vari giorni, bloccavano la citta’. Anzi, qui danno per scontato che i poliziotti siano a maggioranza a favore dei manifestanti e quindi sia normale vederli retrocedere anziche’ tenere un cordone spinto magari da cinquanta casalinghe. Peggio ancora, qui si da per scontata la corruzione della polizia tutta. E non si e’ visto ancora nessuno intraprendere una lavanda del sistema poliziesco corrotto.

Chi ha avuto molto potere, nei giochi delle ultime settimane, son state anche le principali famiglie di imprenditori, che han visto i loro ultramoderni centri commerciali essere assediati, per dirla come uno dei loro principali portavoce, da “quest’orda di contadini abituati al concime e non alle vetrine”. All’inizio sembrava quasi non importasse a nessuno la quantita’ di soldi bruciata per la chiusura dei negozi, figurarsi per il numero dei posti di lavoro saltati. Ma appena il primo ministro ha accennato ad un piano pacifico per risolvere la situazione con i manifestanti rossi, i benestanti businessmen bangkokiani han tirato fuori le manifestazioni dei gialli – i manifestanti che nel 2006 bloccarono per un mese l’aeroporto e fecero cadere il governo Thaksin - rischiando o minacciando varie volte lo scontro, e non a mani nude, tra le due fazioni. Allo stesso tempo hanno iniziato una potente campagna denigratoria a mezzo stampa, arrivando a far credere ai telespettatori che i rossi fossero tutti antimonarchici. E si sa, in Thailandia non si scherza quando si parla del Re, perche’ la legge di Lesa Maesta’ puo’ condannarti fino a venti anni di galera.

Ecco, l’ultimo ma il piu’ potente dei poteri nella realta’ thailandese, e’ proprio quello della famiglia reale. L’adorato Re Bhumibol Adulyadej, forte del suo consenso costruito durante i sessantatre anni di regno, spesso speso a rendere la vita dei suoi sudditi migliore, ma debilitato dagl’ultimi otto mesi passati in ospedale, nulla o quasi ha potuto per calmare i dubbi nonche’ le preoccupazioni sulla sua successione, che tanto mettono in crisi generazioni intere di thaiandesi, che lo considerano il vero Padre di tutti. Anzi, le voci tra la gente iniziano a girare sempre piu’ in fretta, c’e’ chi arriva ad indicare nascondendo il dito la regina ed il principe erede al trono come i veri artefici delle operazioni militari contro i loro stessi sudditi. In realta’ la famiglia reale non si e’ mai esposta in questo periodo di crisi, se non limitandosi a pagare una diaria a tutti coloro avessero speso almeno una notte in ospedale per le ferite sofferte durante gli scontri. Semmai e’ vero il contrario, ovvero sono i politici ed i manifestanti ed i cittadini delle due fazioni gialle e rosse stesse a tirare in ballo il monarca e la sua famiglia, gl’uni accusando gl’altri di essere avversi all’adorato Re, gl’altri accusando I primi di essere fedeli al Re solo per sfruttarne l’aurea economica e per arricchirsi sulle spalle delle popolazioni povere delle campagne. La verita’ e’ che questa volta, a contrario dell’ultima in cui il Re mise fine agli scontri del 1992, il non intervento della famiglia reale ha messo a nudo l’immaturita’ democratica dei suoi sudditi, troppo ben abituati a litigare ben sapendo che prima o poi il Padre avrebbe messo fine al bisticcio prima che la situazione degenerasse. Un intervento dall’alto avrebbe forse fermato le violenze, ma avrebbe anche solo rimandato il problema. E non sapremo forse mai se l’intenzione di Re Bhumibol sia stata, questa volta, quella del padre che dice al figlio di imparare a cavarsela da solo.

domenica 23 maggio 2010

johnny nuovo/la recensione 3. da noiroma.it

copia e incolla da noiroma.it

Il Ragazzo che non conosceva il Mondo

di Clio Pedone

Un esperimento. Soltanto un eccentrico esperimento. Proteggere dal mondo isolando da esso; la vita è infelicità e l’unico modo per viverla senza soffrire è esorcizzare i sentimenti. Già, perché sono le emozioni, e l’incontrollabilità che da esse deriva, a provocare ansia, paura, incertezza ed angoscia.

Un uomo perfetto, una vita perfetta e una moglie perfetta ad un tratto diventano un omicida, una lotta per negare la propria esistenza e una donna in fuga. K perde l’identità assieme al nome e si lancia in una folle impresa: plasmare un essere umano secondo i propri dettami.

Forse ispirato dalle teorie evoluzioniste di Lamarck sullo sviluppo delle peculiarità in base alle pressioni delle condizioni esterne, K decide di creare un “suo” bambino, in un mondo asettico e incontaminato, che sia pronto a reagire esclusivamente ai suoi impulsi.

Non un mostro, bensì un essere nuovo, immune alle sofferenze della vita. “Avrebbe pianto, normale, ma prima o poi avrebbe smesso. Avrebbe rifiutato il cibo, forse, all’inizio, ma prima o poi avrebbe cominciato a mangiare. Si sarebbe adattato al nuovo ambiente?”

Francesca è un PM, una donna cinica che vive soltanto per la realizzazione dei propri obiettivi, dimenticando il lato sensibile dell’esistenza e riducendo qualsiasi rapporto ad un banalissimo momento. Ma la sua prodigiosa vita professionale è destinata a scontrarsi con quella sentimentale arida e in affettiva, e da quel momento la seconda procederà a ritroso. Francesca vive la sua adolescenza in una mente di donna, soffoca le sue emozioni perché ha paura del flusso e del riflusso dell’esistenza.

Alberto è un giornalista, un uomo moralmente ineccepibile, che decide di anteporre alla coscienza il bene altrui. Pagherà questa scelta portandone il peso per tutta la vita e trovandosi ineluttabilmente coinvolto, sia da spettatore che da attore, nelle torbide vicende legate al suo passato. Il mondo non c’è più, o potrebbe non esserci più. Questo il leitmotiv del romanzo, l’increscioso interrogativo che spinge, seppur con differenti declinazioni, tutti i personaggi ad agire. Johnny Nuovo è il prodotto dell’esperimento, lo strumento di riflessione di Francesca, il senso di serenità di Alberto. Eppure, la cavia non ha dubbi: “È stato triste. Sì, molto triste. Ancora oggi mi chiedo se non sarebbe stato meglio vivere senza conoscere il concetto della morte”.

Centoundici pagine scorrevoli ed essenziali, che inducono il lettore ad una profonda speculazione sull’essenza dell’esistenza. Il lieto fine è l’illusione degli umani, Mauro Evangelisti dimostra che niente è come sembra, ché l’essere umano è cosa ben più complessa di una macchina. Imporsi una vita, imporsi un’etica, imporsi un’ideologia, imporsi nel mondo solo soltanto strazianti tentativi per sopravvivere. La vita è meglio viverla o lasciare che ci viva? L’ossimoro onnipresente che spiega una realtà che non possiede nome.

Il romanzo si presenta con un noir a tinte fosche, un avvincente thriller psicologico in cui il tempo del presente non coincide mai col tempo della storia, in cui flash back e pensieri si fondono in un unicum. E la morale, il senso del libro Evangelisti lo lascia al lettore, che si troverà ancora una volta, o per la prima volta, di fonte ad un bivio fatale.

Di Mauro Evangelisti

Carta Canta Editore, Forlì 2010

13 euro

venerdì 21 maggio 2010

johnny nuovo, i commenti degli amici

I primi commenti degli amici sul mio romanzo "Johnny Nuovo":


Romina Lapertosa
"...la storia è un po' da psicopatici/sociopatici ma chi non lo è ai ns giorni?"


Andrea Spada
"...ho apprezzato la tua idea di sviluppare la storia su più piani temporali e mi sono piaciuti alcuni passaggi sulla descrizione dei personaggi, soprattutto relativamente alla loro povertà, non di soldi, ma di animo..."

Mara Pasquini
"...se uno ti conosce bene si vede che c'è molto di te nella storia..."


Pietro Piovani
"...è il prodotto di una mente malata..."

Alessia Marani
"...si legge velocemente ma ti resta in testa a lungo, ti fa pensare molto..."

Davide Desario
"...ci sono dei passaggi forti, duri, è un romanzo tosto..."

Enza di Monti
"...aò, ma voi giornalisti ve siete messi tutti in testa de fare gli scrittori?..."


Raffaella Troili
"... alla prima lettura ti lascia interdetta, alla seconda è bellissimo..."


Dina Nascetti
"...te lo leggi tutto di un fiato in una notte, perché ti cattura, ma mette una grande ansia..."


Chiara Partisani
"...la meglio è la giudice, la madame Bovary sfigata, mitica..."

Barbara Boattini
"...alla fine ti arrabbi con lo scrittore perché non spiega le ragioni che hanno spinto K a rinchiudere il bambino..."

Simone Canettieri
"...è bellissimo, in fondo K chiude Johnny in una stanza per proteggerlo dalla sofferenza, non vuole che soffra come ha sofferto lui..."


Matteo Alvisi
"...Una storia semplice e avvincente, costruita su diversi piani temporali..."


Stefania Piras
"...figure che fotografano l’instancabile sguardo del cronista e la sospensione lirica di chi impagina storie che durano un giorno..."

Giovanni Bartoloni
"...mi è piaciuto, però è troppo melenso il primo capitolo, con le rose lanciate in aria..."

Vanna Ugolini
"...bello. molto bello, ma vabbè, Garcia Marquez è un'altra cosa..."

Luca Benigni
"...mi è piaciuto assai ma mi ha comunque lasciato una sensazione come se mancasse ancora qualcosa, un pezzo, una via d’uscita..."


Fabio Fattore
"...coinvolge il lettore e lo trascina nei meandri di una mente malata ma lucida..."


(continua:)

Johnny Nuovo/ la recensione del resto del carlino

Quanta libertà e quanta costrizione ci può essere nel crescere un bambino? E quanto si può cercare di tenere qualcuno all’oscuro del dolore? Sono queste le domande che corrono nel breve romanzo 'Johnny Nuovo, il ragazzo che non conosceva il mondo', edito da Carta Canta e scritto dal giornalista forlivese Mauro Evangelisti. La storia narra di K (questo il nome del protagonista) che nel giorno del funerale di suo padre, dopo un matrimonio fallito e una serie di viaggi per scappare dalla quotidianità, decide di rapire un bambino e crescerlo in una casa asettica dove non vedrà mai il sole: ci saranno solo loro due e il piccolo non dovrà mai sospettare l’esistenza di un mondo esterno. Possibile!? Sembra di sì.
Dall’ideazione di questo strano esperimento d’amore, che nulla ha né di sentimentale né tanto meno di morboso, prende il via il romanzo del cronista del Messaggero: “è storia che sembra apparentemente ispirata a recenti ed eclatanti fatti di cronaca, mentre in realtà è stata tenuta nel cassetto per diverso tempo”.
Una storia semplice e avvincente, costruita su diversi piani temporali, che porterà la creatura frutto della mente di K a vivere segregato per diciotto anni, fino all’irruzione inevitabile della realtà, perfino quella costruita a tavolino dai mass media, che porrà drasticamente fine all’esperimento. Il finale, naturalmente, è a sorpresa. Accanto alle personalità dei protagonisti, lucida e malata quella di K, ingenua e in evoluzione quella di Johnny, ruota un tourbillon di vite e personaggi intrecciati tra loro, tra cui il pubblico ministero Francesca Rapisarda, una madame 'Bovary sfigata' che non si decide a lasciare il mondo della sua giovinezza e il giornalista di provincia che a forza di tenere segreta una notizia è diventato l’addetto stampa e il confidente di chi la notizia, terribile e da galera, gliel’ha rivelata. Fatto che non succede solo nei film o dentro le pagine di un libro, purtroppo.
Matteo Alvisi

il codice da vinci del ministro

copia e incolla da ilmessaggero.it

di Mauro Evangelisti
Per molti la definizione “cane da guardia del potere” significa in realtà che i giornalisti devono vigilare che nessuno disturbi il potere. «Ne riparliamo domani...». Con questa frase fastidiosa l’altra sera il ministro Ignazio La Russa è riuscito a causare la reazione indignata di un conduttore moderato, stile Cnn, come Alessio Vinci. Il tema della serata di Matrix era serio, molto serio, la missione in Afghanistan.

Ma il ministro della Difesa, sguardo da non definire luciferino per non rischiare banalità e una querela da Lucifero, è riuscito a oscurare le sue buone ragioni sul proseguimento della missione. Ha preferito rumoreggiare contro i suoi interlocutori. Il ministro, che poche ore prima aveva subito il fuoco amico di Fare Futuro per avere diffuso un comunicato su Siena-Inter nel giorno della morte dei due militari italiani, alla fine ha spiegato qual era il problema: va bene invitare rappresentanti dell’opposizione, ma solo di quella opposizione d’accordo con lui. Perché un dibattito, secondo lui, bisognerebbe farlo fra chi la pensa allo stesso modo, non fra chi ha idee differenti.

Poi, quella frase «ne riparliamo domani...». A quel punto Vinci, chiamato a Matrix per sostituire l’estremista Mentana, ha dimostrato una discreta schiena dritta. Ora, se dopo il «ne riparliamo domani...» neppure il moderato stile Cnn di Vinci va più bene per Matrix, non resterà che chiamare Keanu Reeves in persona per condurlo.

domenica 2 maggio 2010

la renata si è arenata

copia e incolla da ilmessaggero.it

di Mauro Evangelisti
Ricordate l’ultima promessa prima delle elezioni politiche sul bollo dell’auto? Beh, il bollo pagatelo perché era appunto una promessa elettorale. Quando vedete lo spot dell’acqua minerale con un settantenne che ha il fisico di un liceale ci credete fino in fondo? No. E’ la stessa cosa.

A destra o a sinistra, poco importa, le campagne elettorali sono lastricate di bei titoloni. Gli sparatutto che non mantengono molto. Come quella volta che il candidato a sindaco di Roma, Gianni Alemanno, disse che avrebbe smontato la teca dell’Ara Pacis: «La teca di Richard Meier è un intervento invasivo da rimuovere».

Ancora: «Se vinciamo il 28 maggio smonteremo la teca e la rimonteremo in periferia». Ovviamente la teca sta ancora lì e semmai verrà riadattato un muretto tanto per mostrare buona volontà.

Anche le Regionali ci hanno regalato una serie di promesse, smentite a tempo di record, addirittura a un mese delle elezioni. La vincitrice Renata Polverini giurava il 29 gennaio: «Da aprile nella nuova giunta tutte le province saranno rappresentate». Aprile sta finendo e non è vero che nella nuova giunta tutte le province sono rappresentate.

Hanno fregato proprio Frosinone, uno dei territori che più ha contribuito all’elezione della Polverini. Ieri da Frosinone sono arrivati in massa a protestare sotto la Regione, con gli amministratori ciociari infuriati tenuti d’occhio dai blindati della polizia.

Renata Polverini aveva anche promesso grande attenzione alle donne in giunta. Bene, su tredici assessori le signore sono appena due, una era la capolista della lista civica della Polverini che non è stata eletta in consiglio, l’altra viene presentata dalle agenzie di stampa come capo della segreteria particolare del ministro Scajola. Sono promesse, funziona così, è lo sparatutto della campagna elettorale. E ricordatevi di pagare il bollo dell’auto.

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