giovedì 28 maggio 2009

giovedì 21 maggio 2009

noi ragazzi di oggi

copia e incolla da ilmessaggero.it
MAURO EVANGELISTI
Il video dell’ultimo successo di Eros Ramazzotti, “Parla con me”, mostra
la vita quotidiana di una grande città. In presa diretta s’inquadrano i
suoi abitanti che non parlano fra di loro, ma comunicano con messaggi
inviati con i cellulari o con i laptop. Ciò che scrivono, nel video,
banalità o rivelazioni importanti, viene mostrato in sovrimpressione, così
inseguiamo i loro pensieri rinchiusi in un breve messaggio. Un po’ come
succedeva trent’anni prima nel capolavoro di Wenders, Il cielo sopra
Berlino, in cui gli angeli ascoltavano i pensieri e le sofferenze delle
persone. Certo, quello di Ramazzotti è solo un video musicale, per quanto
ben riuscito. Però racconta la mutazione quasi genetica che sta avvenendo
in ognuno di noi: sempre più isolati in apparenza, sempre più al centro
della piazza nella realtà. Se siamo in treno o in attesa in un aeroporto,
su un bus o alle Poste spesso evitiamo di parlare con gli sconosciuti che
sono vicino a noi, non socializziamo così spesso come si sarebbe fatto un
tempo. Ci rifugiamo sul terminale-protesi, che sia un cellulare, uno
smartphone, un computer di piccole dimensioni. Ci isoliamo per continuare
a frequentare la nostra piazza, il nostro bar virtuale in cui ci sentiamo
più a nostro agio: può essere la rete dei nostri contatti a cui inviamo
sms con le prime cose che ci passano per la mente (”ma quanto caldo fa
oggi?”) o per comunicare svolte importanti della nostra vita (”questa
volta faccio sul serio, la lascio per sempre, tu che ne pensi?”); può
essere Facebook, Twitter, possono essere le antiquate mail o un intervento
su un forum. Aggrappati all’adsl, agli sms, all’umts, inseguendo una rete
wi-fi disponibile nella hall di un albergo di Tunisi piuttosto che in uno
Starbucks a Pechino non ci allontaniamo dal nostro “non luogo” preferito,
con i nostri amici, i nostri colleghi, la nostra rete, la nostra vita.
Comunichiamo molto più di prima, se ci viene in mente qualcosa subito
parte l’sms o l’intervento sulla bacheca di Facebook. Crolla lo scenario
che un tempo descriveva la tecnologia come un futuro di solitudine,
tristemente ancorati dietro a un computer. Non è così: comunichiamo e
socializziamo molto più un tempo, anche se spesso non lo facciamo con chi
è seduto al nostro fianco. Ma siamo anche travolti e ubriacati dal flusso
dei messaggi che riceviamo. E quasi, a un certo punto, desideriamo restare
soli, senza linea, senza messaggi. Passa subito: ben presto afferiamo il
nuovo telefonino e proviamo a cercare se in questa maledetta spiaggia alla
fine del mondo c’è il segnale 3g o almeno uno straccio di rete wi-fi. “Ma
quanto caldo fa oggi?”

sabato 16 maggio 2009

nino non aver paura di parare un calcio di rigore

copia e incolla da ilmessaggero.it


di Mauro Evangelisti
Finisce con un ragazzo argentino che ha compiuto da poco 22 anni che abbraccia un ragazzo uruguaiano che ne compirà 23 tra un mese. Finisce con Zarate che abbraccia Muslera, la Lazio che vince la Coppa Italia e può urlare "a Pechino, a Pechino" dove nel cuore dell'estate si giocherà la Supercoppa contro (probabilmente) l'Inter. Maurito Zarate quando abbraccia Muslera ha da poco segnato un rigore senza tremare ma soprattutto durante la partita ha ricamato un gol di quelli che possono convincere un bambino a fare la scelta della squadra per cui tifare per tutta la vita. Ma la storia più bella, con un po' di retorica come vuole la trama semplice e imbattibile del calcio e dello sport, è quella del portiere Fernando Muslera. Una piccola storia su cui soffermarsi, poco conta se tifi Lazio, Roma, Juve, Bari o Cesena perché non è questo il punto. E' la storia di un autunno in cui rischi di perderti per sempre e di una primavera che ti fa sentire invincibile. La polvere e la riscossa, a volte va così. Ed è incoraggiante pensare che può succedere a tante traiettorie della nostra vita. L'autunno di Muslera è quello del 2007: 7 ottobre, a 21 anni prende cinque gol dal Milan in casa, è il re delle papere, esce fuori squadra perché allora è meglio l'attempato Ballotta che potrebbe essere suo padre. E' autunno, per Muslera, e saranno in tanti a dirgli: non ti preoccupare, sei giovane, ti rifarai. Magari se lo è detto pure lui stesso, per farsi forza. Ma poi non lo sai mai se andrà veramente così, se davvero non ti sei bruciato per sempre, se non hai appena perso l'unico tram della tua vita. Se non finirai a ridere in un bar come i calciatori sfigati della canzone di De Gregori. La primavera è il 13 maggio del 2009: Muslera è decisivo, è miracoloso, non ha paura di parare un calcio di rigore, anzi due. Ed è anche da questi particolari che si giudica un giocatore.

Archivio blog

search