giovedì 19 febbraio 2015


i corti che escono su move magazine 23/ forever young

copia e incolla da move magazine 

di Mauro Evangelisti 



Forever young


«Giulio, perché non cessi questa commedia?». Anna, con le lacrime che seguivano le rughe da settantacinquenne, afferrò le spalle del figlio. Giulio non reagì e disse solo: «Non lo capisci che siete tutti su un treno che corre verso un muro? Io sono sceso prima». Anna urlò «basta», intervenne la dottoressa Carla, la fermò, quasi l'abbracciò. «Anna, non serve. È un lungo percorso quello che stiamo facendo con Giulio». «Mi calmo». Giulio le prese la mano : «Ha ragione la dottoressa, non devi fare così. Io ti voglio molto bene».
Fuori, camminando verso il parcheggio, Anna si chiese perché avesse perso il controllo, forse era perché Giulio stava per compiere 50 anni. Ripensò al passato. Con l'aiuto della dottoressa Carla aveva imparato a convivere con la follia del figlio. Era cominciato tutto 15 anni prima: Giulio divenne strano. Fino ad allora gli si poteva solo imputare l'incapacità di gestire rapporti duraturi, era molto attraente e cambiava ragazze spesso. «Pensare - diceva la madre - che al liceo era timidissimo, erano gli anni della malattia del padre». Giulio a 35 anni cambiò: un nuovo taglio di capelli, abiti da teenager, la passione per musicisti e serie tv. All'inizio nessuno ci fece caso, altri uomini della sua età in fondo vestivano allo stesso modo. Ma Giulio cominciò a frequentare i locali dei ventenni. Anna provò a parlargli e fu quella la prima volta che Giulio tirò in causa il treno in corsa: «Tu non capisci, mamma, tutto quello che ci succede non ha senso, gli anni passano, invecchiamo, accettiamo tutto senza reagire. Andiamo dritti verso l'infelicità, un treno che corre verso un muro, ma io frego tutti. Io scendo prima». Anna sperò che Giulio scherzasse, ma le cose peggiorarono. Si tinse i capelli ingrigiti, si comprò uno scooter, quasi sempre aveva le cuffie dell'iPod, su Facebook scriveva di avere 20 anni. Era sempre più strambo e Anna con una scusa gli chiese di non lavorare più nel negozio di famiglia, che sarebbe stato più utile nella gestione del sito. Poi però divenne violento: in un bar aggredì una ragazza che rise quando le disse di avere vent'anni. Picchiò i carabinieri in caserma a cui ripeté di essere un ventenne. Urlò contro la madre quando tentò di convincerlo che la commedia doveva finire. Fino a quando, a 45 anni, dopo che aveva accoltellato tre ragazzi che gli chiesero cosa ci facesse in un bar frequentato dai giovani, Anna fu costretta ad accettare che fosse rinchiuso in una clinica. Fu lì che conobbero la dottoressa Carla. Era l'unica che sapeva gestire la rabbia di Giulio. Spiegò ad Anna: «Giulio non ha avuto una giovinezza felice, per la malattia del padre. Ora si fa restituire quegli anni».
Anna vide la sua auto, cercò le chiavi, capì di essere troppo stanca, si adagiò al suolo e morì. Al funerale Giulio aveva alcuni capelli bianchi e quasi rasati a zero, aveva rinunciato alla tinta . Indossava un completo scuro e la cravatta: non succedeva da vent'anni. Pianse. Il giorno dopo disse alla dottoressa: «Mi lasci uscire. Non farò altre follie. Ho capito che non potrò mai scendere dal treno». La dottoressa Carla lo abbracciò: «Va bene». Una settimana dopo la dottoressa pensò che il prossimo anno avrebbe compiuto 65 anni e che sarebbe stato patetico aspettarsi una nuova imprevista felicità. Gli mancavano Anna e Giulio. Si tolse la vita.
Giulio, ingrassato, andò anche al funerale della dottoressa Carla e pianse. Vendette il negozio e partì per un viaggio in oriente. Atterrò a Bali e di lì, irrequieto, passò da un aereo all'altro, da una nazione all'altra. Non fingeva più, era solo un educato turista cinquantenne. Non era felice, ma si distraeva. «L'unica soluzione è distrarsi dal treno in corsa». Un giorno salì su un aereo diretto in un'isoletta dell'Indonesia. A bordo c'era solo un gruppo di ragazzi australiani. In volo, le condizioni del tempo peggiorarono, il pilota tentò un atterraggio di fortuna. Giulio, i sei australiani e una giovane hostess si salvarono. In otto - quattro uomini e quattro donne, tutti tra i venti e venticinque anni ad esclusione di Giulio - si ritrovarono a sopravvivere in una foresta. Usarono le poche provviste che c'erano a bordo con oculatezza, impararono a cacciare. L'autorità di Giulio venne subito riconosciuta. Fece l'amore con la hostess, poi però lei si fidanzò con un australiano. Avrebbe dovuto sentirsi tradito e invece si sentì galvanizzato da questi intrecci e dopo poco fece coppia con un'australiana. In attesa dei soccorsi, il gruppo organizzò una sorta di villaggio allegro. In spiaggia, ogni sabato, facevano una festa, cantavano e ballavano. Giulio, un giorno, sulla cima della collina, sorrise. In lontananza, vide uomini in divisa che stavano facendo delle ricerche. Non attirò la loro attenzione. Tornò al villaggio. Agli altri non disse nulla.

lunedì 9 febbraio 2015

i corti che escono su move magazine/ 22 volevo solo una che mi scattasse le foto

copia e incolla da move magazine

di Mauro Evangelisti

Volevo solo una che mi scattasse le foto


 Stava bene, aveva trovato un equilibrio soddisfacente, senza troppa fatica. Da solo. A trent'anni era un disegnatore ben pagato, nascosto dietro a uno pseudonimo. Così poteva partire quando voleva e viaggiare lo aiutava a trascorrere il tempo senza affanni. Non desiderava una donna o, più precisamente, una relazione. Per il sesso pagava, il metodo era efficace e senza le controindicazioni di una partner fissa. Voleva fare ciò che voleva, quando lo voleva. Decidere quando partire e quando tornare. Fermarsi vicino le cascate del Niagara, sotto il Golden Gate, lungo il Malecon, all'ombra delle Petronas Tower, a piazza Tien An Men o sulla Grand Place e scattare foto, caricarle su Instagram. E soprattutto selfie, che testimoniavano il suo passaggio nei differenti luoghi. Così la vita proseguiva senza scosse tra le giornate intense del disegno quando doveva consegnare un lavoro, le telefonate alle escort che una volta al mese convocava nel suo appartamento, la ricerca su Internet di un volo per partire quando gli impegni erano stati rispettati, la preparazione di una lista di luoghi da visitare nella città o nella nazione prescelta, i ristoranti migliori, le discoteche con le ragazze più disponibili, le foto, i selfie. Andava bene così e quando quelli della casa editrice lo invitavano a prendere un aperitivo, a mangiare una pizza, a una festa, lui quasi sempre rifiutava perché sapeva che si sarebbe annoiato. Il flusso di vita organizzata che aveva imparato a gestire era tutto ciò di cui aveva bisogno. A giugno partì per Cartagena de las Indias, Colombia: aveva letto un articolo in cui si magnificavano le bellezze del centro storico e delle spiagge e la vivacità della vita notturna. La seconda sera, in una discoteca frequentata da turisti in cerca di ragazze e da ragazze in cerca di turisti con i soldi, passò in rassegna con lo sguardo le bionde, le rosse e le brune, i jeans attillati, le tette rifatte, le gonne minuscole. Poi si avvicinò a una bassa e dai capelli scuri e le chiese di andare in hotel con lui. «Me llamo Angela» gli disse. Dopo un'ora di sesso le diede l'equivalente di cento euro e le chiese di andarsene. «Non vuoi che resto a dormire con te?». «Preferisco di no» rispose, sincero perché non sopportava dormire con un'altra persona. Due giorni dopo passeggiava nei vicoli del centro coloniale, tra i palazzi di pietra chiara, faceva molto caldo ed era sudato. Si fermò per scattarsi un selfie con la cattedrale alle spalle. Sentì una voce rivolgersi a lui, in italiano: «Ti scatto una foto, guapo?». Era Angela. Le diede lo smartphone e si lasciò fotografare. Trascorsero il pomeriggio tra i vicoli e le piazze, il Palacio de la Inquisicion e Plaza Santo Domingo. Angela gli scattò decine di foto. Quando gli propose di farsi un selfie insieme, lui rispose che preferiva di no e lei non glielo chiese più. Lui però si accorse di stare bene con Angela, non era più costretto a strane contorsioni per scattarsi i selfie. Si lasciò convincere a tornare in Colombia tre mesi dopo, lui che non aveva mai dato troppa importanza al denaro esaudiva ogni richiesta di Angela. Accettò anche di seguirla a Baranquilla, per conoscere la sua famiglia. Si abituò a dormire con lei, a usare il gabinetto sapendo che lei poteva entrare in qualsiasi momento. Cinque mesi dopo la invitò in Italia è la sposò, per rendere tutto più semplice. Lei trascorreva le giornate a guardare la tv o chattare su Facebook con altri colombiani. Ogni tanto partivano - Parigi, Barcellona, Capri - e lei gli scattava le foto. Non si fecero mai una foto insieme. A volte andavano a Civita di Bagnoregio, nel Viterbese, ad Angela piaceva, perché lì avevano girato una telenovela brasiliana che guardava quando era bambina. «Tu sei troppo freddo, distante, mi sembra di essere sposata a un computer» un giorno gli disse. Lui non rispose, pensando che non fosse importante. Di giorno in giorno la vide sempre più scura in volto, assente. Non rideva più. Finché una sera gli annunciò: «Io me ne vado, non ce la faccio più, mi dispiace. Non ti preoccupare, non voglio i tuoi soldi». «Fai come vuoi» rispose lui, non troppo preoccupato perché in fondo aveva sempre vissuto da solo, bastava ripristinare l'antico equilibrio. Non fu difficile. L'accompagnò alla stazione, Angela si trasferì in un'altra città. Lui non lo notò, lei lo nascose perché era troppo orgogliosa, ma prima di salire sul treno una lacrima sbucò da sotto gli occhiali scuri. Lui tornò alla sua vita di sempre. Si comprò un'asta per scattarsi i selfie. Sentiva solo uno sfuggente sapore amaro in bocca. «In fondo - si disse una volta quando faticava ad addormentarsi - io volevo solo una che mi scattasse le foto». Oggi è passato un anno da quando Angela è salita sul treno. Lui, senza motivo, ha guidato fino a Civita di Bagnoregio, ha percorso a piedi il ponte, si è fermato al centro della piazza, e ha preso lo smartphone. Prima ha fatto qualche foto per Instagram, poi ha girato la fotocamera per il selfie. Sente una voce: «Ti scatto una foto, guapo?»

Archivio blog

search