venerdì 25 aprile 2014

giovedì 24 aprile 2014

i corti che escono su move 7/ la filastrocca

copia e incolla da move magazine 

di Mauro Evangelisti

La filastrocca
Quando la rivoluzione si trasformò in privilegi, violenza e persecuzione Ana decise che doveva andarsene dal paese. Non ne parlò con Antonio, il suo uomo e il padre dei suoi figli: capì che non l’avrebbe seguita. Anzi, l'avrebbe denunciata. Avevano creduto nel cambiamento e forse lo amava ancora, ma Ana organizzò la fuga. L'amico dell'ambasciata di un paese straniero le disse che stava per andarsene, che tutti i diplomatici lasciavano il paese: se voleva, poteva partire con lui. Fu allora che decise di portare con sé Julia, che aveva solo cinque anni. Avrebbe lasciato con il padre Mathias, cinque anni di più. Fu una decisione dolorosa, per Ana fu come tagliarsi un braccio. Ma non ebbe scelta. L'amico dell'ambasciata le disse che sull'elicottero c'era soltanto un posto. Però non fu l'unica ragione: inconsciamente, trovò ingiusto privare il suo uomo di entrambi i figli e Mathias era molto legato al padre. Alla sera, prima della fuga, strinse forte Mathias. «Che c'è mamma?». «Nulla, non ti preoccupare. Dormi».
Julia oggi ha 28 anni e sta dormendo su un Airbus 330. «Viaggia per vacanza o per lavoro?» le ha chiesto un ragazzo all'imbarco. «In vacanza» ha mentito. Non le andava di raccontare che torna per la prima volta nel paese in cui è nata, che una settimana fa è stata al funerale della madre, che deve cercare Mathias, suo fratello, che non ha mai risposto alle sue lettere e a quelle di Ana. Vuole dirgli che sua madre è morta e che l'ultimo pensiero, come il primo di ogni mattino, è stato per lui. Per lei Mathias è poco più del ricordo di un sorriso e di una filastrocca che cantavano insieme. Loro padre morì due anni dopo la fuga di Ana. Fu fucilato dal regime che lo giudicò un traditore. Mathias è cresciuto con lo zio, fedele al regime.
Quando esce dall'aeroporto Julia si mescola ai turisti. Si fa portare da un tassista nel centro della capitale. Lungo la strada riconosce una casa, cadente, vicino alla quale quattro vecchi stanno giocando a domino. Lì è nata. Domanda ai vecchi se conoscono Mathias, loro si guardano in faccia, sorpresi e spaventati: «Non abita più qui, di sicuro lo trovi al partito. Ma non lasciano entrare i turisti». Al mattino, nella piscina dell'hotel, fa amicizia con il barista, gli allunga cento dollari e si fa raccontare la storia di Mathias. «Lo conoscono tutti. È l'uomo nuovo del regime. Uno pericoloso, matto. Mio cugino conosce la segretaria. Se vuoi posso darle un biglietto». Julia mette in una busta la foto della madre distribuita al funerale. Vi scrive: «Rose rosse, rosse gialle, i bambini della valle...». È l'inizio della filastrocca che cantavano da bambini.
Tre mesi dopo Julia è su una jeep, con il fratello che indossa la divisa militare. Una settimana dopo l'invio del biglietto, in hotel si erano presentati dieci soldati. L'avevano bendata e portata in una caserma. Un uomo dalle spalle larghe e i capelli lunghi le aveva tolto la benda. «Sono Mathias». Le aveva stretto la mano. Nessun abbraccio. «Nostra madre è morta, un tumore. Perché non hai mai risposto alle sue lettere?». Lui aveva alzato le spalle, preso una bottiglia di rum e versato da bere. «Non avevo nulla da dirle». Si era sentita l'esplosione. Spari. Urla. Mathias aveva guardato negli occhi Julia: «Abbiamo cominciato, non ti preoccupare. Le cose stanno cambiando, qui, qualcuno si farà male». In poche ora era tutto finito, quelli che avevano controllato il regime per 25 anni erano stati uccisi o arrestati. Avevano preso il potere i quarantenni. C'era un nuovo comandante: Mathias. Julia era stata ospitata nella sede presidenziale, quasi prigioniera. Vedeva il fratello impartire ordini, parlare in tv («la rivoluzione continua»). Rappresaglie, fucilazioni. «Falli smettere» aveva chiesto al fratello. «È necessario» le aveva risposto, addentando una bistecca. Lei era in piedi, lui aveva bevuto un bicchiere di vino rosso, si era pulito il viso e poi, quasi a freddo, le aveva chiesto: «Perché? Perché nostra madre mi ha lasciato qui? Perché non ha portato anche me?». Julia avrebbe voluto spiegare le ragioni di Ana, ma sapeva che sarebbe stato inutile, si era voltata ed era tornata nella sua stanza. Ora sono sulla jeep, Julia ha chiesto di seguirlo per chiedergli di lasciarla partire. «Non c'è problema, non sei prigioniera». È le accarezza il volto, primo gesto di tenerezza da quando si sono rivisti. «Se la mamma avesse portato anche me, ora sarei un impiegato grasso e scontento. Meglio così». La scorta frena, spari. Un agguato. Restano a terra quattro donne e quattro uomini, solo un soldato è ferito. Dietro un muro, tremanti, due bambini, un maschio e una femmina. I soldati stanno per sparare, «no» urla Julia. «Fermi» acconsente Mathias. Per una settimana i due bambini restano nell'appartamento con Mathias e Julia. La bimba si chiama Lucia, ha 5 anni, il maschio, Fernando, ne ha 8. Tra una settimana Julia partirà. «Ti prego, Mathias, procura loro dei documenti falsi, lasciali venire con me. Qui non hanno nessuno». Mathias scruta i bambini lontani: «No, portati via solo Lucia. Fernando resta qui con me».

giovedì 10 aprile 2014

i corti che escono su move 6/ Summer coming soon

copia e incolla da move

di Mauro Evangelisti

Summer coming soon


Questa è la pistola. È facile: l'avvicini alla sua testa, premi il grilletto, come nei film, ed è tutto finito. Ci sarà sangue, ma non ti preoccupare, puliamo noi. Non troveranno il corpo, nessuno saprà nulla. È questo che vuoi, no? Il video lo hai visto, no? Questa merda non si è accorto che era sotto una telecamera di sorveglianza di una banca. Non chiedermi come abbiamo fatto a recuperare la registrazione. Noi siamo più bravi della polizia. Questa è la pistola, è facile. Per un quarto d'ora non riprenderà i sensi. Hai quindici minuti per decidere, se non lo ammazzi tu, noi lo liberiamo. Ora ti lasciamo solo, torniamo tra poco. Per pulire o per liberare l'uomo che ha stuprato e ucciso la tua bambina. Fosse stata mia figlia io non avrei dubbi. Ma è giusto che sia tu a decidere.

Marcos esce dalla stanza, seguito dai due ciccioni che gli fanno da guardaspalle. Sento che salgono le scale, fanno rumore. A Marcos è sempre piaciuto portare stivali da cowboy, anche se nel nostro paese fa un caldo da impazzire e dicono che un'estate così calda non ci sia mai stata. Quando hanno trovato Clara nel vicolo, con la gonna strappata, il sangue, il viso da angelo deturpato a pugni, la mia bella vita trasparente da avvocato, difensore dei diritti civili e dei più deboli, è finita. Sapevo che la polizia non avrebbe mai trovato l'assassino. Il castello di valori solidi della mia vita stava vacillando. Non devi pensare alla vendetta, l'odio non è la soluzione, la pena di morte non è la risposta: questo ripetevo sempre alle vittime di abusi, di prepotenze e violenze. Ora che dall'altra parte della storia c'ero io, non sapevo controllare l'odio. Volevo vendetta. Potevo fare solo una cosa: cercare Marcos. Non avrei mai pensato che sarebbe successo.

Guardo il viso lungo e liscio della bestia: attorno all'occhio destro è rosso, ma lo hanno addormentato con una puntura, non con le botte. Ha gel nei capelli e una maglietta con scritto Summer coming soon. Ha diciotto anni, quella notte era ubriaco e drogato. Avvicino la pistola alla sua bocca.

Per dieci anni Marcos è stato il mio migliore amico. Già allora, quando eravamo non più bambini ma non ancora adolescenti, eravamo differenti. Lui prepotente e temuto, spavaldo, io più alto, più chiuso. Non ero un vigliacco, ma venivo da un'altra regione e il primo giorno a scuola alcuni mi presero di mira. Solo battute e qualche sgambetto, ma capii che la situazione sarebbe peggiorata. Poi un giorno il mio sguardo incontrò quello di Marcos e ci sentimmo fratelli. Non so perché, è uno degli strani misteri della vita. Parlammo della regione da cui provenivo, del calcio, dei mondiali che si sarebbero giocati quell'estate. Da allora, naturalmente, nessuno osò avvicinarsi a me. Marcos non dovette mai difendermi, ma a scuola, in paese, ovunque, tutti sapevano che ero suo amico. Seguirono due vite diverse: lui la banda, lo spaccio, i soldi; io lo studio, l'università, il fidanzamento con Ada. Eppure, malgrado le strade si allontanassero, ogni settimana trovavamo un giorno per andare al mare insieme, parlare, passeggiare, cantare, ci raccontavamo le nostre vite e Marcos con me perdeva la sua predisposizione alla violenza e al potere, per il tempo che trascorrevamo insieme era uno come tanti.

Spingo la canna dell'arma sulle labbra del ragazzo, ancora incosciente. Accarezzo con il dito il grilletto, ne provo, con prudenza, la resistenza. Poi guardo la maglietta, azzurra, la scritta Summer coming soon.

Fui io a tradire Marcos. Avevamo vent'anni, passeggiavamo in spiaggia e mi parlava della sua nuova fidanzata. Poi si fermò, mi guardò negli occhi, e mi disse, a bassa voce: «Ieri ho ucciso un uomo, era la prima volta». Poi scrutò la sabbia e aggiunse: «Mi è piaciuto». Io aspettai qualche secondo, realizzai chi fosse veramente Marcos, lontano dall'immagine dell'amico che mi ero costruito anche se lui non mi aveva mai nascosto nulla. «Non voglio più vederti, non cercarmi più. Siamo differenti». Non mi ha più cercato, per vent'anni non l'ho più visto. Una settimana fa sono andato a chiedergli aiuto, mi ha risposto a monosillabi mentre affettava una mela. «Ti aiuterò, troveremo quella bestia». Mentre uscivo l'ho sentito dire: «Avvocato dei diritti civili, se in questi anni nessuno ti ha torto mai un dito...sai chi ti ha protetto».
Prendo un lembo della maglietta con scritto Summer coming soon, tento di strapparla, non ci riesco, il corpo si alza e ricade come un pupazzo.

Marcos sente il colpo di pistola. Entra. Vede il ragazzo ancora immobile, ancora addormentato, ma vivo. Per terra il corpo dell'amico, l'arma a pochi centimetri, sangue dappertutto, la testa spappolata. Corre, lo abbraccia. È tardi.

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