domenica 28 luglio 2013

quando i bambini fanno bu

C’è un bambino di colore che abita a Roma, va a scuola alla Storta o all’Esquilino, alla Bufalotta o a Casal Palocco, a Tor Bella Monaca o a Cinecittà. È figlio di un diplomatico o di un muratore originario del Ghana, di un giocatore di basket o di una signora eritrea che fa la badante, di un manager francese o è stato adottato da una coppia romana. Questo bambino di colore un giorno si accorge che i compagni di classe non sono più simpatici come un tempo. Cominciano a prenderlo in giro, a dire cattiverie, a metterlo in mezzo. A fare scherzi e battute. All’inizio non comprende cosa sia cambiato, poi capisce. I suoi compagni di classe guardano le partite di calcio in tv e sentono che certi tifosi, ogni tanto, quando c’è un giocatore di colore fanno «buu». E siccome è facile imparare la cattiveria (se si è bambini anche senza volerlo) ecco che ogni giorno diventano più crudeli. Poi quei ragazzini in televisione sentono un politico importante, è il vicepresidente del Senato spiegano al telegiornale: dice che un ministro di colore assomiglia a un orango. Sì, di colore come il loro compagno di scuola. E allora quei bambini pensano sia normale e sono ancora più assillanti con il loro compagno di classe dalla pelle scura. O forse no, forse la storia ha un finale differente. Forse quei bambini sentono quel politico e capiscono che non vogliono diventare come lui da grandi, proprio no. E la smettono. Chissà: pure quei tifosi, timorosi dell’ombra del paragone con quel politico, hanno un ripensamento.

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