venerdì 10 dicembre 2010

johnny nuovo, intervista su mangialibri

copia e incolla da mangialibri.com


Intervista a Mauro Evangelisti
Articolo di: Lorenzo Strisciullo
Il primo contatto tra me e Mauro è avvenuto su Facebook, dove si parlava, tra le altre cose, della dura realtà del mondo del giornalismo. Un ambiente che lui conosce bene perché è un cronista de “Il Messaggero”. Dopo aver pubblicato tre libri-reportage Evangelisti, classe ’67, ha fatto il suo esordio nella narrativa con un romanzo che nel settembre 2010 gli è valso il Premio Carver. Un bel personaggio, insomma, e Mangialibri non poteva certo perdere l’occasione di conoscerlo di persona.
Hai vinto il premio Carver 2010 con il tuo Johnny Nuovo. Una bella soddisfazione...
Quando scrivi un romanzo non sai se davvero qualcuno ti prenderà sul serio, leggerà fino alla fine la storia. Questo valeva con molta forza per me che ero al mio primo romanzo. Sapere che una giuria, fra centinaia di libri, ha scelto proprio il mio romanzo rappresenta una soddisfazione inattesa e una sorta di legittimazione. Poi, certo, il fatto che il premio sia dedicato a Carver rende la cosa più bella. Sarà un caso, ma ora sono alle prese con dei racconti.

Johnny Nuovo è la storia di uno strano “esperimento” sociologico. Come è nata l’idea di chiudere un bambino in una stanza e farlo crescere al di fuori del mondo, o meglio, all’interno di un mondo costruito?
A volte inseguiamo i nostri pensieri, la nostra immaginazione, ci domandiamo: cosa succederebbe se... Ecco, Johnny Nuovo all'inizio degli anni 2000 nacque proprio così, inseguendo un pensiero, un’ipotesi di fantasia. Qualche anno dopo alcuni drammatici fatti di cronaca hanno proposto all'attenzione storie simili a quella dell'esperimento di K. Come dire che a volte la fantasia anticipa drammaticamente la realtà. Per scelta però la storia di K non è quella di un maniaco o di un sadico. K ha una personalità forse impalpabile, che non rientra in uno schema tradizionale. La sfida della storia era anche questa.

Il tuo romanzo mi ricorda la pellicola coreana “Old boy”, in cui un uomo viene rinchiuso in una stanza per quindici anni. Sei stato influenzato da film o libri del genere?
Onestamente non penso di essere stato influenzato né da altre opere di fantasia, né da fatti reali. Piuttosto all'inizio degli anni 2000 prendeva corpo una società sempre più sorvegliata, controllata dalle telecamere, ognuno di noi, di fatto, è al centro di un esperimento. Va ricordato, anche se non è l'elemento che colpisce maggiormente il lettore forse perché a questo siamo quasi abituati, che il ragazzo cresce nella stanza controllato costantemente dalle telecamere installate da K.

Il protagonista di Johnny Nuovo si chiama K, come i personaggi dei romanzi di Kafka Il castello e Il processo. Un caso?
In realtà la scelta del nome di K è più casuale, meno affascinante. Quando scrivevo non sapevo come chiamare il protagonista, come rappresentare la sua personalità così forte con un nome, per cui per convenzione scrivevo K per poi decidere un nome alla fine. Quando ho riletto il romanzo mi sono accorto che K funzionava e non l'ho più cambiato.

C’è nelle pagine del tuo romanzo una sorta di critica alla società moderna?
Cerco di fare un'analisi scarna e senza fronzoli più che alla società ai vari personaggi e alle loro debolezze, che poi sono le debolezze di ognuno di noi. Senza dare giudizi. Poi, ripensandoci su anche alla luce dei commenti di chi ha letto il libro, alcuni elementi del romanzo portano anche ad alcuni riflessioni: c'è chi osserva che K, come avviene nelle famiglie di oggi, tenta, in modo estremo, di proteggere il ragazzino, Johnny. Di evitargli dolore e sofferenza. Altri sottolineano il tema della manipolazione, anche questo di evidente attualità.

Cosa c’è scritto sul tuo biglietto da visita: giornalista o scrittore?
C'è scritto, in grande, giornalista. E molto, molto piccolo anche scrittore. Speriamo che la definizione giornalista resti, ma che prenda consistenza anche la seconda. Scrittore.

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