martedì 7 settembre 2010

i rabdomanti del wi.fi

di Mauro Evangelisti
Stiamo diventando dei rabdomanti. Per strada, in un bar, in spiaggia, all'aeroporto, soprattutto quando viaggiamo siamo sempre a caccia di una rete wifi. Ovviamente non lo fa la grande maggioranza delle persone, ma specialmente nelle nuove generazioni è sempre più frequente che due giovani, magari di due continenti diversi, mentre armeggiano con lo smartphone o un notebook in un aeroporto, attacchino discorso con la frase "scusa, ma tu l'hai trovato il wifi?".

Un po' meno in italia, moltissimo nelle metropoli straniere la fortuna di alcune grandi catene di caffetterie - e non solo Starbucks - è stata anche determinata dalla possibilitá di avere un collegamento alla rete metre ti bevi il frappuccino. Negli hotel la presenza del wifi in camera ormai è un optional comune come l'aria condizionata. Un tempo quando tornavi da un lungo viaggio leggevi avido e sorpreso il quotidiano italiano che davano in aereo e ti sentivi disorientato, un marziano, perché per due settimane eri rimasto escluso dal flusso delle informazioni e in Italia intanto era successo di tutto, caduto qualche governo, ad esempio.

Oggi quando torni dal Laos o dall'Honduras di che è successo in Italia - dei fatti importanti ma anche delle disavventure sentimentali della tua vecchia compagna di classe che hai come amica su Facebook - grazie a internet ne sai quasi più di chi è rimasto a casa. Su questa ansia di essere sempre collegati (ovviamente non solo col wifi) si potrebbe filosofeggiare a lungo, con pessimismo perché i cambiamenti, chissà perché, ci sembrano sempre negativi.

Invece bisognerebbe solo prendere atto che l'essere umano, la sua vita, sta mutando: c'è ancora quella fatta di carne e ossa, strette di mano, abbracci, schiaffoni, profumi e cattivi odori; e ce n'è un'altra complementare fatta di informazioni, comunicazioni, amicizie on line, social network. Perché deve essere un male?

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