giovedì 27 maggio 2010

l'analisi sulla crisi di bangkok

copia e incolla da facebook
il testo è del del bravissimo fotoreporter DARIO PIGNATELLI, tornato da poco da Bangkok dopo avere seguito le proteste dei rossi:

scrive DARIO PIGNATELLI

Piu' volte avrei potuto pubblicare articoli su quel che stava accadendo attorno a casa mia a Bangkok. Per vari motivi, anche personali, e nonostante la gamba rotta mi desse tanto tempo per scrivere anche di questo, avevo poi lasciato perdere o evitato di pubblicare cio' che scrivevo sul mio diario. Ora, siccome mi e' stato chiesto di farlo per un'agenzia fotografica che pero' non esita anche a pubblicare testi come fosse un blog, ho scritto un resoconto dei fatti con annesse mie considerazioni personali, frutto di quel che ho visto e di quel che ho capito del mio nuovo paese adottivo. Ecco qui di seguito, l'articolo.

LA THAILANDIA SENZA PADRE

Cosi’ come e’ difficile capire come mai un Thai, sdraiato sul suo letto nel tempio di Wat Phrabat Nampu, dove i malati di AIDS vengono abbandonati dalle loro imbarazzate famiglie, ti sorride mentre gli stai scattando una fotografia, e’ difficile comprendere il sorriso del primo ministro Abhisit Vejjajiva ai reporter, subito dopo aver seriosamente annunciato la fine delle operazioni militari contro i manifestanti antigovernativi e aver fatto la conta dei morti in diretta Tv.

La Thailandia ha vissuto, nelle ultime dieci settimane, uno dei suoi periodi piu’ cupi. Son rimasti sull’asfalto delle strade di Bangkok almeno novanta morti, tra i quail un cameraman giapponese della Reuters e Fabio Polenghi, fotografo freelance di Milano, e piu’ di milleottocento feriti, di cui una cinquantina ancora in pericolo di vita. Il tutto sotto gl’occhi sgomenti delle televisioni e dei turisti di tutto il mondo, abituati a pensare a questo paese come un paradiso vacanziero, il paese dei sorrisi, appunto.

La cronaca delle dirette CNN, Al Jazeera e BBC, ma anche su Twitter e su Facebook, ha mostrato al mondo come per piu’ di due mesi i manifestanti rossi dell’ UDD (Union for Democracy against Dictatorship) abbiano occupato indisturbati e senza freni, neanche legali, due aree fondamentali della capitale del paese, la via Rajadamnoen che va dal palazzo del governo al palazzo reale, e l’area dei centri commerciali tra I piu’ grandi di tutto il sudest asiatico chiamata Ratchaprasong. L’epilogo, dopo un paio di settimane in cui sembrava potesse prevalere il dialogo ed in cui il governo aveva promesso elezioni e dissoluzione del parlamento, e’ invece e purtroppo stato sanguinoso: i soldati hanno prima cacciato I manifestanti da Rajadamnoen nella violenta notte del 10 aprile, durante la quale il fronte e’ stato Kao Sarn road, la piu’ turistica delle vie di Bangkok. In un mese tutti si sono dimenticati dei primi ventotto morti e degl’ottocento feriti tra i quail il sottoscritto e le operazioni militari sono riprese, culminando il 9 maggio in una settimana di scontri, con i soldati ad avanzare con i cingolati ed i rossi a difendersi , dietro barricate fatte di pneumatici e aste di bambu’,con le molotov, le fionde ed alcune, va detto, armi uscite fuori da non si sa dove. Anzi, si sa. Ho visto con I miei occhi, il 9 aprile, quando I rossi assaltarono la centrale delle telecomunicazioni a 100 chilometri a nord di Bangkok, l’esercito retrocedere e fare il madornale errore di lasciare in mano ai manifestanti interi camion pieni di armi. La conferenza stampa dei leader rossi che gentilmente restituivano il maltolto ai soldati era evidentemente una delle tante messe in scena. Ma nessuno ha poi indagato o cercato dove fossero finiti i numerosi M16 spariti quel giorno. Allo stesso modo, agl’occhi di noi occidentali, e’ difficile capire come si possa lasciare in un paese che vuole definirsi democratico, che per vari mesi ci siano lanci di granate esplosive contro obiettivi militari e civili, senza che nessuno abbia la minima idea o indizio su chi sia stato davvero a lanciarle. Alla fine i militari hanno avuto ovviamente e forzutamente la meglio, riprendendosi la citta’, ma nulla hanno fatto per impedire che numerosi rossi o altri contestatori se ne andassero lasciando dietro di se incendi ed esplosioni che han fatto del centro cittadino e commerciale un insieme di palazzi neri e sventrati, e assaltassero le principali sedi dei governi provinciali nel nord e nel nordest del paese, roccaforte dei militanti antigovernativi.

E’ difficile dare una definizione del manifestante rosso. Si sa e si vede dai loro gadjet, che sono quasi tutti a favore dell’ex premier Thaksin Shinawatra, ora scappato all’estero perche’ incriminato per corruzione ed abuso di potere e condannato a due anni e mezzo di carcere. Si sa e si vede che spesso e’ gente arrivata dalle risaie dell’Issan, la piu’ povera delle regioni thailandesi, nel nord est. Ma non solo: tra i rossi numerosi sono i militanti della stessa Bangkok, gente del ceto medio, medio basso e basso tout court. In una metropoli di 15 milioni di abitanti e’ facile immaginare quanta gente povera ci sia, quante siano le persone stufe del potere dell’elite dirigente del paese. Quasi tutti soffrono la fine del governo di Thaksin, che li aveva abituati e viziati con le sue politiche populiste. Nessuno si ricorda di quanti morti abbia lo stesso ex premier sulla coscienza, per esempio nella sua poco trasparente lotta ai narcotrafficanti. In pochi hanno capito che forse, gia’ che c’erano, era meglio andare oltre all’idea della lotta per farlo tornare, e cosi’ e’ stato facile per il governo attuale additarli come i prezzolati seguaci del corrotto e latitante “tra terrazze sul mare del Montenegro e boutiques alla moda parigine” ex leader Thaksin.

La tanto decantata road map del governo di Abhisit Vejjajiva e’ stata da subito una mezza presa in giro. Al di la del fatto che, nel mentre il governo proponeva colloqui di pace, si iniziava a tagliare ogni diritto dei manifestanti, per esempio togliendo la spina ai loro canali televisivi e radiofonici, con l’accusa un po vaga di diffondere informazione di parte. Tutti sanno ma pochi ne parlano che ad ottobre si designera’ il successore del generale Anupong, capo supremo dell’esercito. Chi sara’ al potere in quel periodo potra’ scegliersi il generale da mettere in regia e non e’ poco in un paese in cui ci sono stati 17 colpi di Stato militari negli ultimi 40 anni. E’ lampante che la proposta di indire elezioni il 14 novembre, ovvero a giochi gia’ avvenuti, non sia dettata solo dai tempi per stampare le schede elettorali. E’ altrettanto ovvio che questa partita crei malumori all’interno dell’esercito stesso, creando i cosidetti “Watermelon” o angurie, ovvero militari verdi fuori ma rossi, come i manifestanti, dentro.

Cosa abbia spinto il primo ministro Abbhisit all’uso di tanta forza, spesso spropositata nei confronti di manifestanti principalmente, ma non solo, armati di fionde, petardi e razzi fatti in casa, restera’ forse un mistero, anche perche’ bisogna capire prima una cosa fondamentale di questo paese, qui il primo ministro non ha per forza il potere esecutivo come lo diamo per scontato noi, nati e vissuti in un paese che bene o male puo considerarsi una democrazia acquisita.

Qui in Thailandia il primo ministro con il suo governo e’ solo uno dei tanti poteri a decidere le sorti del paese. Ci sono, ad armi pari, i militari, che come detto vantano una lunga tradizione di colpi di Stato, non sempre pacifici. I militari, grazie al loro potere, si garantiscono sempre – proprio non perdono occasione – una fetta enorme delle risorse dello Stato e spesso son legati ad una o l’altra fazione politica, sono palesemente attori anche della vita economica del paese, per poi spesso dimenticarsi di tenersi pronti a gestire in maniera decente una folla di diecimila persone, che seppur arrabbiata, motivata e ben organizzata, per oltre dieci settimane e’ parsa piu’ una scampagnata di contadini che una folla inferocita e assetata di guerra civile.

Un altro potere che nell’ultimo periodo ha mostrato di decidere da se il da farsi e’ la polizia di Stato. E nessuno si e’ poi tanto meravigliato, tra i thailandesi, del fatto che i poliziotti fallissero ogni qual volta fossero stati incaricati di fermare i manifestanti nelle loro carovane di motorini che, improvvisamente e per vari giorni, bloccavano la citta’. Anzi, qui danno per scontato che i poliziotti siano a maggioranza a favore dei manifestanti e quindi sia normale vederli retrocedere anziche’ tenere un cordone spinto magari da cinquanta casalinghe. Peggio ancora, qui si da per scontata la corruzione della polizia tutta. E non si e’ visto ancora nessuno intraprendere una lavanda del sistema poliziesco corrotto.

Chi ha avuto molto potere, nei giochi delle ultime settimane, son state anche le principali famiglie di imprenditori, che han visto i loro ultramoderni centri commerciali essere assediati, per dirla come uno dei loro principali portavoce, da “quest’orda di contadini abituati al concime e non alle vetrine”. All’inizio sembrava quasi non importasse a nessuno la quantita’ di soldi bruciata per la chiusura dei negozi, figurarsi per il numero dei posti di lavoro saltati. Ma appena il primo ministro ha accennato ad un piano pacifico per risolvere la situazione con i manifestanti rossi, i benestanti businessmen bangkokiani han tirato fuori le manifestazioni dei gialli – i manifestanti che nel 2006 bloccarono per un mese l’aeroporto e fecero cadere il governo Thaksin - rischiando o minacciando varie volte lo scontro, e non a mani nude, tra le due fazioni. Allo stesso tempo hanno iniziato una potente campagna denigratoria a mezzo stampa, arrivando a far credere ai telespettatori che i rossi fossero tutti antimonarchici. E si sa, in Thailandia non si scherza quando si parla del Re, perche’ la legge di Lesa Maesta’ puo’ condannarti fino a venti anni di galera.

Ecco, l’ultimo ma il piu’ potente dei poteri nella realta’ thailandese, e’ proprio quello della famiglia reale. L’adorato Re Bhumibol Adulyadej, forte del suo consenso costruito durante i sessantatre anni di regno, spesso speso a rendere la vita dei suoi sudditi migliore, ma debilitato dagl’ultimi otto mesi passati in ospedale, nulla o quasi ha potuto per calmare i dubbi nonche’ le preoccupazioni sulla sua successione, che tanto mettono in crisi generazioni intere di thaiandesi, che lo considerano il vero Padre di tutti. Anzi, le voci tra la gente iniziano a girare sempre piu’ in fretta, c’e’ chi arriva ad indicare nascondendo il dito la regina ed il principe erede al trono come i veri artefici delle operazioni militari contro i loro stessi sudditi. In realta’ la famiglia reale non si e’ mai esposta in questo periodo di crisi, se non limitandosi a pagare una diaria a tutti coloro avessero speso almeno una notte in ospedale per le ferite sofferte durante gli scontri. Semmai e’ vero il contrario, ovvero sono i politici ed i manifestanti ed i cittadini delle due fazioni gialle e rosse stesse a tirare in ballo il monarca e la sua famiglia, gl’uni accusando gl’altri di essere avversi all’adorato Re, gl’altri accusando I primi di essere fedeli al Re solo per sfruttarne l’aurea economica e per arricchirsi sulle spalle delle popolazioni povere delle campagne. La verita’ e’ che questa volta, a contrario dell’ultima in cui il Re mise fine agli scontri del 1992, il non intervento della famiglia reale ha messo a nudo l’immaturita’ democratica dei suoi sudditi, troppo ben abituati a litigare ben sapendo che prima o poi il Padre avrebbe messo fine al bisticcio prima che la situazione degenerasse. Un intervento dall’alto avrebbe forse fermato le violenze, ma avrebbe anche solo rimandato il problema. E non sapremo forse mai se l’intenzione di Re Bhumibol sia stata, questa volta, quella del padre che dice al figlio di imparare a cavarsela da solo.

Archivio blog

search