sabato 6 dicembre 2008

rosa shopping/2

Prima scena, negozio prestigioso zona Nomentana. Lui è un professionista quarantenne, classe media un tempo danarosa. Sta comprando un completo, è dubbioso sul prezzo, ma il titolare gli spiega: «Perché vuoi pagare tutto adesso? Mi dai un acconto, poi paghi un po’ alla volta. Ormai fanno tutti così...». Seconda scena, a inizio estate e a conclusione dei saldi. Dopo una stagione in cui negozi di abbigliamento e di calzature hanno parlato di crisi strutturale e non più passeggera, come se tutti - o quasi - i romani avessero deciso che scarpe o maglioni, camicie o completi possono essere rinnovati con meno frequenza, si fanno i conti sui saldi. Doveva essere la grande riscossa, perchè se le famiglie non comprano a prezzo pieno, di sicuro faranno rifornimento con i saldi. E invece... Invece - ricordano i commercianti - su Roma abbiamo registrato una flessione della vendita ai saldi di abbigliamento e calzature con punte del 15 per cento. Terza scena, all’interno di un grande centro commerciale romano e del magazzino di uno dei colossi della moda low cost. Giovanni, quarantenne e single, quindi in teoria soldi da spendere, acquista un paio di scarpe a 24.90 euro, prezzo ribassato. «Appena un mese fa costavano più di 70 euro e le avevo lasciate sullo scaffale - racconta - Prima o poi il prezzo doveva scendere, ormai si acquista solo così...». Ultime scene, per capire come si sta consolidando la crisi delle vendite di abbigliamento e scarpe: al Trionfale come a Talenti, ecco alcuni negozi di qualità medio-alta che dedicano un’ala delle loro strutture a una parolina magica: outlet. Perché per aggirare la crisi - reale o psicologica - molti romani spesso prendono la macchina alla ricerca di brand importanti, ma a basso costo, e vanno a Castel Romano o Valmontone. Allora alcuni negozianti hanno deciso di portare l’outlet dietro le loro vetrine. Infine - spiega un negoziante - per capire cosa sta cambiando a Roma e nel nostro settore, guardate piazza di Spagna: da una parte Cristian Dior, dall’altra Yves Saint Laurent. E poi la nuova sede di Gucci. Cosa significa? La crisi dei consumi sta mettendo in ginocchio i negozi di fascia media. L’alta moda, il lusso, continua per ora a volare. Così come tiene il settore della moda low cost, dei grandi marchi, anche stranieri, che hanno invaso Roma. Soffre la classe media, soffrono i negozi di abbigliamento e di calzature di fascia media. Semplice.
Ciò che abbiamo di fronte - dicono i commercianti - è qualcosa di inedito. E’ una crisi strutturale, un mutamento delle abitudini delle famiglie, aggravato dall’effetto psicologico della crisi finanziaria di questi giorni. E che rischia di mietere molte vittime, fra i piccoli negozianti e fra quelli che all’interno dei grandi centri commeriali. Cambiamento delle abitudini. La Confcommercio nei giorni scorsi ha messo on line una ricerca che è su scala nazionale, ma ben fotografa anche la realtà romana. Alla voce ”consumi per abbigliamento, alimentari, elettrodomestici” racconta che nel 1970 le famiglie dedicavano il 55,8 per cento delle spese. Vent’anni dopo quella cifra fetta si è ristretta, di dieci punti, nel 1990 rappresentava solo il 46 per cento. Nel 2000 continua a scendere, è al 39,4 per cento. Bene, quest’anno è solo il 36,2 per cento. Ma se è sempre più piccola la fetta della torta totale delle spese legate ad abbigliamnto, alimentari ed elettrodomestici, dove si spende di più? Secondo la Confcommercio c’è stato un incremento costante per vacanze e pasti fuori casa, dal 16 per cento del 1970 al 21 per cento di oggi e dei consumi obbligati, vale a dire bollette, assicurazioni e mutui, passati dal 19 al 25 per cento. Si potrebbe raccontarla anche in un altro modo: un tempo le famiglie pagavano la luce, il gas, il telefono, il mutuo e l’affitto e dedicavano il resto alla cena e all’abbigliamento. Oggi alla fine del mese c’è la rata della tv a pagamento, quella dell’Adsl, magari pure il canone del telefonino se si è scelto l’abbonamento. E la fetta di torta per l’abbigliamento si assottiglia. Così, una volta acquistato il necessario per sè e per i figli, tutto il resto nel nostro settore diventa superfluo. E viene tagliato. I dati pubblicati dall’Istat e dal Censis sui consumi confermano questa fotografia.
Ma dai numeri alla vita reale, ci sono poi altri segnali che raccontano - quanto meno - una frenata nella propensione ai consumi. Raccontano alcuni negozianti: C’è un ritorno a fenomeni che erano più legati al passato, come i banchi dell’usato, dei capi di abbigliamento usato. Sono ovviamente ancora fenomeni minori, ma danno anche questo il segno di ciò che sta avvenendo. 

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