martedì 18 febbraio 2014

I corti che escono su move 2/ baci freddi

copia e incolla da move magazine

di Mauro Evangelisti

Baci freddi

Baci freddi

Il processo è iniziato in ritardo. I giudici e gli avvocati hanno faticato a raggiungere il tribunale nella bufera di neve. Angelo è rimasto un'ora e mezzo ad attendere nella camera di sicurezza, insieme alle guardie carcerarie. Fuori tutto è grigio e bianco. E' una neve marcia, sporca, mista a nebbia. Desolazione e ineluttabilità. Sullo sfondo il campanile e i mezzi del Comune che provano a liberare le strade, un vecchio che bestemmia e trascina una bicicletta. «Sembra uno di quei documentari di National Geographic», dice uno degli agenti penitenziari. «Vedrai che ti assolvono», aggiunge rivolto ad Angelo.
I giudici sono riuniti per decidere la sentenza. Angelo tace anche con se stesso, ma l'accusa non ha dimostrato nulla. Non è stato trovato il coltello che ha colpito all'addome Laura. Non sono state trovate le impronte di Angelo. Non ci sono testimoni. E l'unico sconosciuto catturato da alcune telecamere di sorveglianza è una sagoma di un tizio che indossava ancora il casco, ma molto più grasso di Angelo. Eppure il magistrato è convinto che l'assassino sia lui: Laura lo aveva lasciato, Angelo continuava a cercarla, una volta l'aveva spintonata a terra, in un bar, perché lei non voleva più parlargli. «Ho 35 anni, cosa cazzo faccio della mia vita ora che te ne sei andata? Dovevi dirmelo prima che non mi amavi» aveva urlato prima dell'arrivo dei carabinieri. Angelo ha freddo e chiede agli agenti se può avvicinarsi al termosifone. Il calore riattiva, nella sua mente, il film dell'omicidio. Laura aveva sempre pensato che fosse un buono a nulla, una mezza sega, uno che non sapeva riparare la macchina o compilare i moduli in banca. «Sei come un bambino, ma ti voglio bene». Angelo aveva organizzato l'omicidio nei dettagli, voleva dimostrare di saper fare bene le cose: per un anno aveva cessato di cercare Laura, studiato le posizioni delle telecamere di sorveglianza, l'aveva pedinata e annotato i suoi orari. Aveva imparato a rendersi irriconoscibile: si tingeva i capelli, si lasciava crescere la barba, portava un cuscino sotto il giaccone per apparire più grasso. Quella sera fu facile: arrivò con uno scooter, scese senza togliersi il casco. Entrò nel palazzo mentre uscivano le impiegate del primo piano. Suonò da Laura e finse di consegnare dei fiori, quando lei aprì la porta, la scaraventò a terra e infilò il coltello nell'addome. Neppure Laura capì che il suo assassino era Angelo. Risalì sullo scooter, lo lasciò vicino a Termini e riprese il freccia rossa per Milano. Il piano era semplice: il giorno prima, con il suo nome reale era andato a Milano, aveva preso la camera di un hotel e acquistato un biglietto per una serata di un dj in una discoteca. Poi, aveva acquistato un nuovo andata e ritorno, tra Milano e Roma, ma alla cassa automatica, in contanti. Era tornato a Roma, aveva ucciso Laura, aveva ripreso il treno per Milano - parrucca bionda e barba tinta. Quando i carabinieri lo cercarono al telefono, era appena uscito dalla discoteca. Tutto perfetto: l'omicidio a Roma, lui nella discoteca di Milano. Ma il magistrato era riuscito a ottenere il rinvio a giudizio. Ora Angelo, dopo quattro mesi di carcere, era aggrappato a un termosifone, sperando di non dovere tornare in cella.
Quando il giudice aveva letto la sentenza, Angelo non aveva capito se era stato condannato e assolto. Solo la pacca sulle spalle dell'avvocato lo aveva rassicurato. Anche gli agenti della polizia penitenziaria, senza farsi vedere, gli avevano stretto la mano. Ora era un uomo libero. Stava camminando, sulla neve, da solo. Aveva chiesto all'avvocato che lo stava riaccompagnando a casa di lasciarlo per strada «ma sei sicuro? Con questa neve?», «non ti preoccupare, voglio godermi questa sensazione». Aveva smesso di nevicare, Angelo continuò a camminare anche quando raggiunse il portone del suo palazzo, ce l'aveva fatta, aveva ucciso Laura senza farsi scoprire. Aveva avuto ciò che meritava, aveva dimostrato di non essere un buono a nulla. Poi, Angelo alzo gli occhi verso il cielo. E capì. Capì che Laura non c'era più, non c'era più nulla, non c'era neppure il tepore che, anche nei giorni dell'odio, riemergeva pensando a lei, non c'era neppure, folle e fragile, la speranza che un giornosarebbe tornata. Si senti perso e solo. Si lasciò cadere sulla neve, allargò le braccia, sentì sul viso i primi baci freddi. Stava ricominciando a nevicare.

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