martedì 18 febbraio 2014

i corti che escono su move 1/ dal 2004 al 2014

copia e incolla da move magazine

Dal 2004 al 2014

di Mauro Evangelisti

Tra il 2004 e il 2014

«Perché sei venuto? Te l'avevo detto che sarebbe stato inutile».
«Almeno ho rivisto Bologna, è una bella città, no?».
Dalla vetrina del bar, dove sono seduti riscaldati da due tazze di cappuccino ancora piene, s'intravede lontano il piazzale della stazione. Poi la visuale viene oscurata da un autobus, mentre il nevischio misto alla pioggia confonde l'immagine. Anche se nel bar fa molto caldo, il cielo grigio scuro e la spruzzata di nevischio raccontano del freddo, dell'inverno che non finirà mai.
«Ma secondo te, dopo due anni ho deciso di andarmene con leggerezza? Pensavi sarebbe bastato presentarti qui per convincermi a cambiare idea?».
«Se tu fossi rimasta a Viterbo almeno avrei potuto parlarti, rivederti, spiegarti».
«Spiegarmi cosa, Massimo?».
«Che ti amo ancora, Roberta, che ti amerò sempre».
«Ah, davvero? Ma allora cambia tutto, allora dico a mia cugina che non mi serve più il lavoro al negozio qui a Bologna, che torno a Viterbo. Massimo ma che stai dicendo? Il problema è che io non ti amo più. Per questo me ne sono andata. Per questo ho voluto cambiare città. Hai 25 anni Massimo, ma è come se tu ne avessi 14».
Silenzio. Si avvicina il cameriere: «Volete mangiare qualcosa, ragazzi?». «No, grazie. Anzi, mi porti una bottiglietta d'acqua e il conto» risponde Roberta. Massimo resta in silenzio e torna a guardare fuori, passa un'ambulanza e il suono della sirena irrompe nel bar.
«Torna Roberta. Proviamo, dai».
Lei sospira, alza gli occhi al cielo. Poi prende le mani di lui, le stringe forte sul tavolo.
«Massimo, so già che è finita. Mi dispiace che ti sia fatto quattro ore di macchina, sotto la neve, per nulla. Io ti voglio bene, mi dispiace se ti ho fatto soffrire. Vedrai, tra poco ti metterai con un'altra e starai meglio».
«Questa volta sei tu a non essere molto originale. Pensi che funzioni così?».
«Sì, funziona così, ogni giorno milioni di storie finiscono e nascono, è normale. Fra dieci anni neppure ti ricorderai del mio viso».
«Tra dieci anni ti amerò ancora».
Si avvicina un uomo con i capelli bianchi, del Bangladesh, che vuole vendere delle rose. Roberta lancia uno sguardo ammonitore a Massimo, che sta cercando una banconota nel portafogli.
«Non ci pensare proprio, le rose sarebbero patetiche» lo blocca Roberta.
Poi, rivolta al venditore: «No, grazie».
Il barista gli dice di andarsene mentre lascia il conto e la bottiglietta d'acqua sul tavolino.
«Io ora devo andare, Massimo».
«Io ti amerò anche tra dieci anni».
«Quanto sei stupido».
«Io ti amerò anche tra dieci anni, anche se non ti incontrerò più».
«Ma dai».
«Non ti cercherò più, ti lascerò in pace. Però promettimi: rivediamoci qui tra dieci anni, stesso giorno, stessa ora, stessa città, stesso bar. E se questo bar non ci sarà più, sempre sotto questi portici. Ti dimostrerò che sarò ancora innamorato di te».
«Ma dai, queste cose si vedono solo nei film ».
«Non mi interessa».
«Dunque alle 3 del pomeriggio del 20 febbraio 2014?».
«Sì, alle 3 del pomeriggio del 20 febbraio 2014».
«Ma io avrò già 37 anni, sarò bruttissima. Tu invece sarai un trentacinquenne affascinante, non è giusto».
«Promettimi che verrai e io per dieci anni ti lascerò in pace. Anzi, dimentichiamoci l'uno dell'altra, non cerchiamo notizie sulle rispettive vite. Sarà più bello».

I dieci anni sono passati e anche il 2014, che a Roberta e Massimo sembrava tanto lontano e irreale è arrivato, così come un giorno ci sarà il 2024 o il 2034. Massimo non ha più cercato Roberta, lei ha rispettato solo in parte la promessa, perché un paio di anni fa ha cercato su Facebook la pagina di Massimo. Non si poteva visitare, perché la visibilità dei contenuti è limitata ai soli amici, ma Roberta ha visto la foto del suo profilo.

Oggi è il 20 febbraio 2014. Una bella donna con i capelli scuri all'altezza delle spalle, indossa una pelliccia e cammina sotto i portici, tenendo per mano un bambino di cinque anni. Entra in una bar - sì, il bar c'è ancora, è solo cambiato l'arredamento - e si dirige al bancone. Chiede un cappuccino e un bicchiere d'acqua per il bambino.
«Vuoi una pasta, Davide?».
«Sì», grida lui contento.
Lei si guarda intorno, scruta i tavolini, solo uno è occupato da tre studenti che stanno controllando sul tablet gli orari delle lezioni. Nessun altro. Il bambino mangia la pasta, lei lo pulisce con il tovagliolo di carta. Si volta, la porta del bar si sta aprendo. È un uomo anziano che lancia un saluto al barista e va via. Lei beve l'ultimo sorso di cappuccino e guarda l'orologio, ormai sono le 3 e 10.
«Andiamo, Davide, è tardi, dobbiamo fare la spesa».
Apre la porta, una sferzata di freddo e nevischio.

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