venerdì 23 aprile 2010

johnny nuovo, la recensione

copia e incolla da ilmessaggero.it

“Johnny Nuovo” di Mauro Evangelisti:
l'uomo che vuole sostituirsi a Dio



di Fabio Fattore
ROMA (21 aprile) - Come si può plasmare una persona e fino a che punto. E’ una domanda che prima o poi si sarà posto chiunque: dal leader guida di milioni di coscienze al genitore alle prese con l’educazione del figlio. Mauro Evangelisti fa di questa domanda cruciale un gioco sottile, un esperimento di laboratorio: surreale nei contenuti ma realistico, molto realistico, nella forma, che è poi quella essenziale della cronaca giornalistica. S’intitola “Johnny Nuovo. Il ragazzo che non conosceva il mondo” (CartaCanta editore, 112 pagine, 13 euro) il nuovo romanzo di Evangelisti: giornalista e autore di reportage come “Il figlio di Fidel” e “La marcia su Cuba”.

Un romanzo, questa volta, ma scritto con la scioltezza e il ritmo di un reportage. Tanto più che la sua invenzione sembra ispirarsi a fatti di cronaca realmente accaduti: non è così, chi lo conosce sa che la fantasia di Evangelisti ha partorito questa storia in tempi non sospetti, poi la bozza è rimasta a lungo in un cassetto per uscirne, con qualche ritocco, solo ora.

La storia è semplice ma avvince, dalla prima all’ultima parola, coinvolgendo il lettore e trascinandolo nei meandri di una mente malata ma lucida. La mente di K, figlio di un industriale, annoiato, che ha già tutto, compreso un matrimonio fallito e una collezione di viaggi per fuggire da se stesso, e che un bel giorno inventa l’idea di sostituirsi a Dio. K rapisce un neonato, o meglio, dà ospitalità a una donna incinta che deve disfarsi del nascituro, e lo alleva come vuole lui in un ambiente asettico che fa costruire appositamente. L’esperimento va avanti per anni, il bambino cresce senza alcun contatto con il resto del mondo se non con K. Poi, il caso: qualcosa va storto e la cronaca (quella fatta di polizia, magistrati, mass media) irrompe con propotenza nell’esperimento, mandandolo all’aria.

Dalla narrazione, che passa con naturalezza dal presente al passato, emergono altri personaggi, a parte i due principali, cioè il “padre” e il “figlio” (legati da un rapporto sempre più simbiotico ma singolare: non c’è amore e tanto meno niente di morboso, non c’è nemmeno il più innocente contatto fisico tra i due). Ci sono, soprattutto, il sostituto procuratore che conduce l’inchiesta, una donna sposata che vede sfiorire la gioventù e i suoi sogni e cerca di opporsi al declino ma con scarsa possibilità di successo. E c’è l’anziano giornalista di provincia, una persona seria e onesta ma depositario di un segreto terribile, che finisce poi per diventare il più fidato collaboratore, quasi l’amico, del padre di K. Ma anche i personaggi minori, ben tratteggiati, danno sapore alla storia. Che corre via veloce lasciando al lettore nuovi interrogativi proprio man mano che la trama si dipana e i misteri si chiariscono: ma chi è, veramente, il mostro? Qual è la potenza plasmante del legame causa-effetto? E quale quella, altrettanto formidabile, del caso? E ancora: fino a che abbiamo bisogno di libertà e fino a che punto di catene?

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