mercoledì 19 novembre 2014

i corti che escono su move magazine 18/ il vento in faccia

di Mauro Evangelisti

IL VENTO IN FACCIA
In ufficio mi hanno chiesto se volevo versare la mia parte per il regalo: trenta euro. Certo, ho risposto. E così nel biglietto è finito anche il mio nome. Sara, un mese prima, mi aveva preso da parte e con il solito sguardo avvolgente e bugiardo mi aveva spiegato: «Allora, ci siamo. Mi sposo. Tra sei settimane. Il ricevimento lo facciamo nella mia casa in collina. Mi farebbe piacere se venissi anche tu».
Io l'ho inquadrata intontito, mentre la lama - quella con cui ho imparato a convivere - mi torturava ad altezza stomaco. Dignità, ho detto a me stesso. «Se posso, vengo». E sono sgattaiolato via, come se Sara stesse tentando di vendermi un abbonamento alla pay-tv. Era il picco massimo di dignità a cui potessi aspirare.
Per fortuna era già quasi ora di tornare a casa, ho lasciato che gli altri uscissero prima di me, ho finto di essere impegnato con una cosa urgentissima sullo smartphone, ma in realtà stavo semplicemente cambiando lo sfondo, perché quella del tramonto scattata a Santorini decisamente non mi aveva portato fortuna. Misi l'immagine di una scogliera. Poi uscii da solo e mi fermai al Lidl a comprare della vodka. A casa scaldai una pizza, preparai quattro vodka e tonic, e mi sparai in cuffia un po' di musica metal, quella che mi piaceva ascoltare ai tempi del liceo.
Mi hanno detto che come regalo Sara ha chiesto un juke-box. Un vecchio juke-box funzionante che metterà nella tavernetta della villa per la quale il futuro marito sta già pagando rate del mutuo impressionanti. Il juke-box è una classica richiesta ”alla Sara”, a cui piace mostrarsi originale e poetica, ma poi si sposa con il tipo che paga rate del mutuo impressionanti.
Tre mesi. Tanto è durata la nostra quasi storia. Lei era già fidanzata con il tipo che domani sposerà e che paga rate del mutuo impressionati. Io ero innamorato, Sara forse ha voluto semplicemente farsi un ultimo regalo, uno straccio di emozione proibita prima del matrimonio. Aveva problemi in ufficio, io restavo a lungo a parlare con lei. Poi uscivamo, prendeva una scusa con il fidanzato e facevamo lunghi giri in automobile dalle parti della nuova tangenziale. Una mattina l'accompagnai anche a Bologna, dove aveva un colloquio con il boss della società per migliorare la sua condizione. Restai per almeno due ore sotto il palazzo ad aspettarla. Al ritorno mangiammo un panino all'autogrill, poi mi chiese di non accompagnarla a casa subito. E mentre vagavamo con la macchina tra i capannoni della zona industriale, mi disse a freddo: «Ma se non ti fermi, come fai a baciarmi?». Fu il primo nostro bacio e seguì altro. Ricordo strani hotel lungo la provinciale. Gli sguardi torvi dei portieri di notte. I camion parcheggiati fuori. Tre mesi, poi lei si allontanò e non mi diede più speranze. «Goditi il ricordo di ciò che è stato. Se davvero per te è stato importante quel ricordo non sbiadirà. Ma io ora devo proseguire la mia vita. Io amo il mio fidanzato».
Non è una grande scoperta: lavorare nello stesso ufficio con la donna che ami e non ti ama è una tortura; vederla ogni giorno, ascoltare le sue telefonate, può fare molto male.
Oggi è la domenica del matrimonio. Non andrò. Non ho mai pensato di andarci. Sara lo sa. Alla fine il juke-box non l'hanno trovato e con i soldi raccolti in ufficio è stato acquistato un robot da cucina. Io questa mattina ho cambiato di nuovo lo sfondo dello smartphone: ora c'è un pesce rosso dentro una boccia troppo piccola. O forse è il pesce rosso troppo grande. Mi infilo i pantaloni della tuta e la maglia della mia squadra di calcetto. Mi fermo al bar e mangio un tramezzino al tonno. Decido che vale come pranzo. Cammino fino al Lidl, ma è chiuso. Per fortuna ho ancora della vodka in casa. Mi stendo sul divano e preparo un vodka e cola. Sono iniziate le partite, butto un occhio su Sky, ma la tv mi appare come una successione di immagini inutili, gridolini dei telecronisti, mani nei capelli dei calciatori, arbitri che alzano braccia. In questo momento, penso, deve essere cominciato il ricevimento. Potrei presentarmi là e combinare un casino. Rovinarle il giorno del matrimonio. Ma non è nel mio stile, nel mio personaggio, io sono uno che fa a botte di rado, anche se quando succede di solito non sono quello che le prende. Mi rivesto e prendo la moto dal garage. Non corro, sono prudente, per strada non c'è nessuno. Salgo sulla collina, lascio la moto nel parcheggio della villa. Sono dietro a un albero, non è che mi nasconda, semplicemente di lì non possono vedermi. Lei sorride agli invitati, così da lontano, vestita di bianco, mi pare una ragazzina che ha appena fatto la prima comunione, non una giovane sposa. Eppure, allo stesso tempo, in quei lampi di sorrisi mi pare di intuire il tempo che passa e che passerà, ciò che sarà: è già oltre la giovinezza che quei sorrisi fanno apparire eterna, mentendo. Torno alla moto, vado via, penso al robot da cucina. Non indosso il casco, per un po’ voglio sentire il vento forte in faccia.

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