sabato 24 maggio 2014

i corti che escono su move 9/ il recuperatore

copia e incolla da move magazine


di Mauro Evangelisti


Il recuperatore


Questa volta è stato molto complicato. Era una persona molto infelice, non aveva motivi per tornare indietro. «Sono solo, a chi serve che io ritorni?». Io gli ho spiegato semplicemente che era stata sua madre a chiedermi di intervenire. Dunque qualcuno che sentisse la sua mancanza c'era. Alla fine l'ho preso per mano e si è risvegliato. Sua madre mi ha ringraziato, ha pianto. Ha pagato il mio compenso, né troppo alto, né troppo basso, ma necessario perché in qualche modo devo pur mangiare. Però per tutta questa sofferenza altrui che sono costretto a condividere dovrei farmi pagare milioni. Forse non c'è prezzo. Eppure, dovrebbe essere semplice, dovrebbero essere contenti che qualcuno vada a salvarli, a riportarli indietro: invece no, sono pochissimi i casi in cui ho trovato la gioia cristallina di chi voleva tornare. Quasi sempre incontro tristezza e cumuli di frustrazioni, rancori, insoddisfazioni, disperazione che fanno dire a chi vado a riprendere: mi dispiace, non torno. Per questo io premetto sempre molto ai parenti che non c'è garanzia di risultato. A volte non riesco ad attivare il contatto, a volte sono loro a non volere tornare. Certo, può essere che sia una decisione non logica, non razionale, offuscata della situazione in cui si trovano. Spero almeno che sia solo questo.
Il recuperatore, così mi hanno chiamato. Ufficialmente non esisto, nessuno mi conosce salvo un piccolo gruppo di medici che fanno parte di una società segreta sparsa in tutto il mondo e che lavorano nei reparti di rianimazione. Sono loro a chiamarmi, a decidere quando il mio intervento potrebbe essere utile, perché le condizioni fisiche del paziente sono tali da fare pensare che il mio arrivo abbia un senso. Sì, perché io questo faccio: aiuto la persona a uscire dal coma, tenendola per mano stabilisco un contatto, finisco anch'io nel territorio di vita-non vita in cui si trova, le parlo, le spiego quale sentiero percorrere per tornare, per risvegliarsi. A volte ci riesco, a volte non li convinco e sono costretto a tornare da solo. In quei casi, quando è il paziente che decide di restare, ai familiari mento: dico che non sono riuscito a stabilire il contatto, sarebbe troppo doloroso spiegare loro che la persona che amano non li ama abbastanza da tornare vivere.
La settimana scorsa sono stato a Vienna. Mi aveva chiamato uno dei medici della società segreta per un caso semplice, un bambino investito da una macchina. Ho preso per mano il bimbo, che ha sette anni, e il contatto è stato rapido, anch'io ho pensato che sarebbe stato un lavoro poco impegnativo, con i bambini è più facile, hanno un desiderio molto forte di vivere perché non hanno accumulato dolore e delusioni. L'ho trovato in mezzo a un prato (almeno quella è la raffigurazione dell'ambiente che la mia mente ha creato). «Tu chi sei?» mi ha chiesto. «Sono il recuperatore, sono venuto a riprenderti. Sei in coma, sei quasi morto, ma puoi facilmente tornare in vita. Lo vedi quel sentiero laggiù? Percorrilo e tornerai dai tuoi genitori. Vedrai, è semplice». «No, io voglio restare qui. Qui sto bene» mi ha risposto, sorprendendomi. «Perché non vuoi tornare?» ho insistito. «Qui non mi fa del male nessuno». «E chi ti fa del male quando sei in vita?». Lui ha pianto, non è stato necessario che rispondesse, perché quando si crea il contatto, in questo territorio misterioso del coma, io percepisco le sensazioni più forti della persona, è come se esplodessero e finissero dentro di me. E ho capito: non voleva tornare, perché in vita il padre lo picchiava, in modo molto violento, un sadico. È stato così doloroso provare ciò che provava lui, che ho pianto anch'io. «Ti prometto che non succederà più». Il bambino alla fine mi ha seguito, quattro mesi dopo il padre è stato arrestato, la polizia, su segnalazione del medico a cui avevo raccontato tutto, lo ha sorvegliato e, quando ha ripreso a picchiare il figlio, lo ha fermato.
Sono andato a recuperare Gioia, una ragazza di 20 anni, aveva avuto un incidente in macchina, con il fidanzato. Appena le ho spiegato che l'avrei riportata fuori dal coma, ha riso, felice, «non vedo l'ora di riabbracciare Giovanni, il mio ragazzo». Mentre percorrevamo il sentiero, non ho potuto dirle che Giovanni nell'incidente era morto, non mi avrebbe mai seguita. Per fortuna quando si riprendono dimenticano il nostro colloquio.
Ecco, dopo tutto questo dolore, sono io ora a non voler tornare. L'altro giorno il padre del bambino è uscito di prigione, non so come abbia fatto, ma ha capito che c'entravo con il suo arresto. È venuto a cercarmi e mi ha sparato. Ora sono io in coma, una parte di me mi sta indicando il sentiero. Ma c'è un'altra parte, invece, che vuole restare, lontano da quei cumuli di sofferenza. Ancora non ho deciso davvero cosa farò.

Archivio blog

search