domenica 18 maggio 2014

i corti che escono su move 8/ l'esplosione e il silenzio

copia e incolla da move magazine

di Mauro Evangelisti

L'esplosione e il silenzio

Gianni pensava ai genitori. Al fatto che non si parlassero più da trentacinque anni, non si erano più incontrati dal giorno del divorzio. Né la madre, né il padre gli avevano mai spiegato perché si erano lasciati due mesi dopo la sua nascita. Da bambino era normale non parlarne, era una prassi che alla domenica Gianni andasse con il padre che lo aspettava sotto casa. E anche quando era cresciuto e loro si erano trasformati in due anziani, l'argomento non esisteva. Gianni aveva udito le parole «tuo padre» pronunciate dalla madre non più di tre o quattro volte nella sua vita. Pensava a tutto questo, Gianni, mentre il giudice saliva in macchina, lui diceva meccanicamente «tutto a posto, dottore?», la bomba esplodeva e mezz'ora dopo tutti i siti titolavano «strage di mafia, muore un magistrato e tre uomini della scorta». Gianni era uno degli uomini della scorta.
Sono trascorsi cinque giorni dall'esplosione. Gianni è una foto adagiata sopra una delle quattro bare, in una chiesa sudata e riempita dalle autorità, con la gente fuori che aspetta solo il momento per applaudire quando escono le bare, fischiare quando escono le autorità. I funzionari del governo hanno assegnato a Maria e Antonio, i genitori di Gianni, i posti su una panca in prima fila, proprio accanto alla madre, la moglie e la figlia di dodici anni del magistrato. Gianni non si era mai sposato; nella chiesa ci sono almeno quattro sue ex, perché con il suo sguardo malinconico e ironico piaceva molto alle donne, soprattutto dopo che le aveva lasciate.
Maria e Antonio hanno parlato al telefono, un'ora dopo l'esplosione. Era stato Antonio a comporre il numero della casa dove Gianni viveva con la madre.
«Pronto» aveva risposto Maria, singhiozzando.
«Sono io. Hai visto la televisione?».
«Sì. E mi hanno già chiamato dal Ministero dell'Interno. Lui era lì. Non ci sono speranze».
«Ciao».
«Ciao».
Non si erano detti altro. Non si erano più cercati. Ora le regole del cerimoniale li costringe a stare vicini, lei che nasconde le lacrime dietro agli occhiali scuri che le aveva regalato Gianni («ma questi sono per una ragazzina, io ormai sono una vecchia» gli aveva detto), lui con il completo scuro che aveva comprato con il figlio quando era andato a trovarlo a Palermo («questo lo indosserò nella bara» aveva detto con il solito humor nero, Gianni gli aveva risposto con uno scappellotto scherzoso ribattendo «quante cazzate dici»).
La messa è accompagnata da colpi di tosse, urla e pianti, Maria e Antonio non si guardano, non si parlano. Fissano la bara. Quando è arrivata, però, Maria è stata costretta a inquadrare Antonio e ha avvertito un dolore al cuore: non si era mai resa conto quanto Gianni assomigliasse al padre. La corporatura massiccia, lo sguardo nero, le labbra grosse. L'immagine di Antonio, ora, non è quella dell'uomo invecchiato che non vedeva da trentacinque anni, ma di come sarebbe stato il figlio tra qualche decennio. Antonio, all'arrivo di Maria, non era riuscito a evitare di notare quanto fosse attraente la giovane poliziotta che la stava accompagnando, e si era vergognato di se stesso, vecchio e maiale, aveva pensato, anche nel giorno del funerale figlio. Poi, però, aveva decifrato nel volto di Maria, rinsecchito, i segni della ragazza di trentacinque anni prima. E aveva sentito qualcosa dentro, il senso di perdita, di errore fatale, ma anche di sollievo, perché in fondo era stato meglio che si fossero lasciati da giovani, perché sarebbe stato insopportabile vedere Maria invecchiare, cambiare.
«Ciao».
«Ciao» si erano detti. Poi non avevano più parlato.
Dopo il funerale, le foto, gli abbracci dei ministri. Al ritorno a Roma, un collega di Gianni era andato a prenderli all'aeroporto. In aereo erano rimasti seduti vicini, ma entrambi avevano dormito, evitando per quanto possibile il contatto con il corpo dell'altro. Durante il volo lei aveva chiesto a lui, mostrandogli una bottiglietta d'acqua: «Vuoi bere?». «No, ti ringrazio». Non avevano detto altro. Ora sono sull'auto del collega Gianni, imbarazzati rispondono a monosillabi alle sue domande.«Ecco, questo è il mio palazzo, mi lasci pure qui. La ringrazio moltissimo». Maria scende senza dire nulla ad Antonio. Il collega di Gianni l'accompagna alla porta, le stringe la mano, poi torna da Antonio che aspetta in macchina. «Lei signor Antonio abita vicino al Gemelli, no?». «Sì, certo. No, anzi, perdonami perché sei stato gentilissimo, ma lasciami scendere qui, voglio camminare un po'. Dopo prendo un taxi». «Ma è sicuro?». «Davvero. Ti ringrazio ancora». Stringe con una mano la spalla del collega di Gianni, scende e corre verso il palazzo di Maria. Il portone è aperto, Maria è in fondo al corridoio, fissa l'ascensore, ma non sale. Sta piangendo. Antonio corre da lei. L'abbraccia. Si abbracciano. Non dicono nulla.

Archivio blog

search