copia e incolla da ilmessaggero.it
Mauro Evangelisti
Il ragazzo che ha sferrato un pugno a una donna - un pugno a una donna, già questo un tempo sarebbe stato disonorevole - e l'ha uccisa non è un eroe che lotta contro il sistema, non è Nelson Mandela, neppure uno che si batte con passione per una causa magari sbagliatissima. Eppure, sotto casa sono apparsi gli striscioni di chi invocava la sua libertà; non è stato portato in carcere fra le urla non di chi era infuriato (anche questo non sarebbe stato accettabile, ma di solito è così) contro chi ha commesso un reato. No, le urla erano di chi esaltava il nome del ragazzo (Alessio libero) e criticava le forze dell'ordine. C'è da scommettere che fra i ragazzi che hanno urlato contro l'arresto ce ne sono molti che in altri casi di cronaca con altrettanta facilità invocavano stoltamente la pena di morte o giù di lì. E' ovviamente lecito domandarsi se per la tragedia avvenuta alla periferia di Roma, all'Anagnina, sia giustificato il carcere prima di una sentenza; perfino riflettere su eventuali attenuanti, ma di qui a inneggiare al giovane come un eroe, beh, ce ne passa parecchio. Quanto sono rappresentativi quelle urla, quei ragazzi di una generazione, di una città, di un Paese? Forse poco. Forse.