martedì 6 gennaio 2015

i corti che escono su move magazine 21/ la nazione felice

copia e incolla da move magazine

di Mauro Evangelisti


 La nazione felice


Lisa si fermò a prendere fiato e ad ammirare il parco. Perfetto, l'erba dei prati ad altezza regolare, le foglie degli alberi arancioni, il sole rosso del tramonto. Si diffuse la musica in sottofondo e Lisa, mentre si asciugava il sudore del footing, capì che erano le18. Come gli altri cittadini del parco, restò immobile, con la mano destra sul cuore. Le note dell'inno del Grande Stato di Occidente accarezzavano, come sempre, le sue emozioni. Al termine una voce tenue ma ferma annunciò: «Godetevi la vita, secondo tutti i ricercatori non è mai stata bella e felice come in questa epoca. Da 23 anni nessun cittadino vive sotto le soglie di povertà». Succedeva sempre così: dopo l'inno, una breve frase - breve, anche la noia era stata annientata dal Grande Stato di Occidente - ricordava uno dei successi raggiunti nell'epoca migliore della storia. «E in effetti è così - si disse Lisa tollerando retorica e propaganda con le quali era cresciuta - guerra e povertà sono solo argomenti di storia, neppure riusciamo a immaginarle». Vide i capelli biondi di Jack, che come sempre correva con la canottiera fuori dai pantaloni, una sfida al sistema che non scandalizzava nessuno. «Ti piace questa merda della propaganda?» le disse. «Originale il tuo modo di invitarmi a cena» gli rispose.
Dopo due ore erano sotto la doccia, nell'appartamento di Jack al settantaduesimo piano da cui si ammirava la città, ordinata e sterminata. Fecero l'amore, lei selvaggia, lui impacciato, e poi cenarono. «Perché critichi la nostra società? Pensi davvero che in passato tra guerre, rivolte, ricchezza per pochi e povertà per molti, si stesse meglio? Vi è mai stata un'epoca migliore di questa? Anche la famiglia meno ricca ha una casa che un tempo sarebbe stata considerata lussuosa. Lavoriamo solo una decina di ore alla settimana, facendo ciò che più ci piace. Il benessere diffuso ha annullato le ragioni dello scontro sociale. Cosa c'è di sbagliato? Sei un irriconoscente e immaturo».
Dopo quattro ore di auto, di notte, con Jack sovreccitato che ripeteva «dobbiamo fare attenzione, esiste un unico percorso che evita i sensori, una falla del sistema che pochi conoscono», Lisa si pentì di avere accettato di seguirlo.
L'auto di Jack si fermò su un altopiano. Il sole non era ancora sorto. Jack allungò a Lisa il visore a infrarossi, che consentiva di vedere al buio e attraverso le mura (ma i palazzi della città erano schermati).
Lei guardò e sorrise: «È uno scherzo? Stanno girando un film?». Poi ironicamente applaudì: «Io dovrei credere a tutto questo?». «Anch'io all'inizio non ci credevo, siamo stati educati a credere ad altro. Però prova a chiederti: chi ha costruito i nostri grattacieli ? L'auto perfetta con cui siamo arrivati fin qua? I tuoi vestiti? Chi pulisce le fogne? Dove finiscono i rifiuti?». «Le macchine, fanno tutto le macchine, per questo non siamo più schiavi del lavoro». «Schiavi, ecco hai detto la parola giusta. La ricchezza di un popolo, di uno Stato, si è sempre basata su violenza e schiavitù. Hai visto gli stabilimenti? Il visore ti ha mostrato uomini, donne e bambini al lavoro. Non è il set di un film. Laggiù ci sono i trenta milioni di schiavi sui quali si basa la vita felice dei tre milioni di abitanti del Nuovo Stato di Occidente. La nostra è una società perfetta, vero, senza povertà, ansia, rispettiamo gli altri, la diversità di chiunque, i reati sono assai meno che in passato. Ma solo perché abbiamo al nostro servizio trenta milioni di schiavi». «Perché non si ribellano?». «Verrebbero uccisi dalle nostre forze di pace, ma soprattutto pensano che non vi siano alternative, che il mondo debba essere così e non potrebbe essere differente, proprio come te».
L'auto, dopo mezz'ora, si avvicinò a una recinzione. Lisa vide centinaia di persone con abiti stracciati, pelle sporca, sguardo basso, denutrite, che si trascinavano lungo una strada fangosa. «Cosa vuoi fare?». Jack entrò da un foro della rete e si avvicinò a una decina di quegli uomini. «Dovete fuggire, potete essere liberi» urlò. Lo circondarono, lo buttarono a terra e cominciarono a picchiarlo. Lisa gridò, si udì una sirena, arrivarono agenti delle forze di pace, spararono agli uomini che stavano pestando Jack. Lo liberarono e lo portarono oltre la recinzione. Un ufficiale andò a parlargli: «La lasciamo andare solo perché suo padre fu il fondatore del Grande Stato di Occidente. Dobbiamo a lui la nostra felicità. Ma se ci riprova, informeremo le autorità supreme». Durante il viaggio di ritorno Jack e Lisa non parlarono. Il silenzio fu rotto da alcune esplosioni, lontane. Lisa ricordò di avere visto Jack passare un foglio agli aggressori. «Sì, è come credi - disse lui, intuendo i suoi pensieri - l'aggressione era finta, dovevo consegnare ai ribelli la mappa dei nascondigli dell'esplosivo. La rivolta è iniziata, il Grande Stato di Occidente sta finendo». Lisa si chiuse a gomitolo sul sedile dell'auto. Era terrorizzata. Non voleva perdere il suo mondo.i

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