giovedì 27 marzo 2014

i corti che escono su move /5 la colpa e la felicità

copia e incolla da move

di Mauro Evangelisti

La colpa e la felicità Ho ucciso un uomo. No, non gli ho sparato, non l'ho accoltellato, non l'ho pestato. L'ho ucciso per pigrizia. Ecco, forse è il caso che spieghi meglio cosa è successo, mi aiuterà a fare pace con me stesso. Forse. Ero fermo su un marciapiedi, indeciso se tornare a casa per prendere l'ombrello, visto che il cielo era scuro, e preoccupato perché la batteria del cellulare era meno carica di quanto pensassi. La mente era occupata da pensieri che deviavano l'attenzione. Un uomo si è avvicinato e mi ha chiesto: «Scusi, dov'è via del Giglio?». Io ho avuto come una scossa perché qualcuno aveva interrotto il flusso dei miei pensieri e, inconsciamente, ho provato fastidio. Ho risposto brusco: «Non lo so». Poi, per non risultare maleducato ho aggiunto: «Mi spiace». Lui ha alzato le spalle: «Non si preoccupi. Chiedo al bar qui di fronte». Ma io so dov'è via del Giglio. Semplicemente, sul momento, stordito per quella richiesta inattesa mentre tentavo di risolvere i miei problemi, tra ombrello e batteria del cellulare, ho rifiutato lo sforzo di elaborare una spiegazione per guidare quell'uomo fino a via del Giglio. Lui si è allontanato in fretta, si è voltato, dopo le mie scuse, rassicurandomi che avrebbe chiesto al bar di fronte, è sceso dal marciapiedi per attraversare la strada, ed è stato travolto da un bus. Ho visto il corpo trascinato e schiacciato dalle ruote, ho sentito le urla di altri che hanno assistito alla scena, sono andato a soccorrerlo, ho chiamato l'ambulanza, atteso che lo liberassero, udito il medico dire che non c'era nulla da fare, raccontato ai vigili urbani cosa avevo visto, lui che andava di fretta, che scendeva dal marciapiedi, che attraversava senza guardare, il conducente del bus che non ha fatto in tempo a evitarlo. I vigili mi hanno detto che si chiamava Gilberto, aveva 39 anni, era di una città vicina ed era diretto in via del Giglio per incontrare il proprietario di un'azienda che gli aveva offerto un posto da dirigente. «Che sfortuna» ho commentato con il vigile. Ma non gli ho detto - non l'ho detto a nessuno - che l'uomo mi aveva chiesto dove fosse via del Giglio, che se gli avessi risposto lui non avrebbe tentato di raggiungere il bar. E non sarebbe morto. Ora porto con me questo fardello, questa convinzione di avere causato la morte di un uomo, tutto a causa di una reazione istintiva di fastidio ingiustificata. Ieri ho preso la macchina e ho guidato fino alla città della vittima dell'incidente, sono andato al funerale. Ho visto una signora curva, capelli bianchi, piangere. «E’ la madre», mi ha spiegato uno seduto vicino a me in chiesa. Poi si è avvicinata alla bara una donna con i capelli castani e lisci, un po' robusta, fianchi larghi, ma dal viso intenso e gli occhi scuri. «È la moglie. Poverina, è rimasta sola, non hanno figli». Non dimenticherò il viso di quella donna. Da un mese non vado più a lavorare. Il medico mi ha firmato i certificati, lo fa perché è un amico, ma anche perché vede che sto male. La sera, prima di addormentarmi, ripenso a quel susseguirsi rapido di attimi, a come avrei potuto modificare il flusso degli eventi. Sarebbe bastato che avessi ricaricato durante la notte il cellulare, per non essere distratto da quella preoccupazione, e dunque avrei spiegato a Gilberto dov'era via del Giglio. Sarebbe bastato che avessi preso l'ombrello prima di uscire. Ma sarebbe stato sufficiente molto meno, per cambiare la concatenazione degli eventi, fossi uscito di casa un secondo prima o dopo, lui non mi avrebbe chiesto l'informazione e non avrebbe deciso di attraversare. Ma semplicemente - è la constatazione che mi fa più male - avrei dovuto rispondergli, dirgli dov'è via del Giglio: lo avrei salvato. Sono trascorsi dodici anni. Un giorno hanno bussato alla porta del mio appartamento. «Le non mi conosce, ma vorrei parlarle», mi ha detto una voce di donna. Stavo per mandarla via, poi ho guardato dallo spioncino: era il viso della donna del funerale, era il viso della moglie di Gilberto. Mi ha detto che era risalita a me tramite un amico dei vigili urbani, che voleva chiedermi un grande favore, che le parlassi dell’incidente di Gilberto, poiché ero l'ultimo ad averlo visto. Abbiamo parlato a lungo, anche a lei ho raccontato solo una parte della storia, non le ho detto che tutto era successo per colpa mia. Cominciammo a frequentarci, ci siamo fidanzati e sposati, sono nati due figli e siamo felici, io sono felice. La mia felicità è stata originata dalla morte di un uomo che io stesso, per un gesto di pigrizia, ho causato. Non c'è giustizia in questo mondo.

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