giovedì 12 agosto 2010

evangelisti ed elisabetto

Visto che ormai si fa a gara per raccontare aneddoti sul povero - si fa per dire - Giancarlo Elisabeth Tulliani, voglio raccontare anch’io un piccolo episodio: i nostri percorsi s’incrociarono. Era il 1999 o giù di lì, lui allora aveva la Porsche oggi ha la Ferrari, io avevo la Scenic oggi la Megane, la sorella amava Gaucci, oggi Fini. Lui era giovane vicepresidente della Viterbese grazie al decisivo cognato Lucianone, io lavoravo alla cronaca di Viterbo del Messaggero e ogni tanto mi occupavo pure di sport. La Viterbese, C1, era al centro dell’attenzione dei media nazionali, non per Tulliani, allora sconosciuto, ma perché nelle prime giornate Gaucci s’inventò il primo allenatore donna, Carolina Morace. Un giorno sulla pagina di Viterbo sport del Messaggero c’inventammo un blob con i frammenti più divertenti degli articoli sulla Viterbese usciti su tutti i giornali nazionali. Citammo anche l’allora inviato del Corriere della Sera, Padovan, che scrisse di quel perfido soprannome che la perfida città di provincia si era inventato per il cognato di Lucianone: Elisabetto, appunto, in quanto fratello della first lady Elisabetta Tulliani, quella per cui, quando veniva a Viterbo con Gaucci, si diceva i gioiellieri del centro facessero la ola per la contentezza (ma forse è solo una leggenda metropolitana). Bene, Tulliani prese malissimo la citazione del nickname Elisabetto e ordinò alla squadra un silenzio stampa ad giornalem, solo per il Messaggero. Quando si giocava in casa, i nostri cronisti, a partire dal grande Graziotti, non potevano andare in sala stampa. Una domenica mi trovai a seguire una trasferta della Viterbese a Castellammare di Stabia. Al termine della partita, tranquillo, me ne andai in sala stampa per le interviste ad allenatore e giocatori della Viterbese. A quel punto ecco comparire Elisabetto Tulliani che sembrava un leone in gabbia: voleva impedire che i suoi parlassero con il giornalista del Messaggero, ma per sua sfortuna non mi aveva mai visto. Andò in tilt, confuso anche dal mio accento nordico. Finì, ovviamente, lui con le pive nel sacco e io con le pur non memorabili interviste. Ecco, allora non avrei mai pensato che dal giovane rampante vicepresidente della Viterbese, Giancarlo Tulliani, sarebbero dipese, un decennio dopo, le elezioni anticipate e le sorti del Paese. Le vie del Signore sono infinite.

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