venerdì 30 maggio 2008

copia e incolla da il messaggero: internet da qui all'eternità

di Mauro Evangelisti

«Te lo giuro che ti terrò nel cuore tutta la vita, continuo ad aspettare che ti connetti...». Ecco, un tempo avremmo detto: aspetto di vederti entrare ancora da quella porta. Oggi quando ricordiamo un amico morto, con lo stesso dolore struggente, speriamo che torni a connettersi, a collegarsi alla rete. Il messaggio è stato lasciato da un’amica di Alessio Giuliani, il giovane ucciso da un pirata della strada sulla Nomentana. Alessio aveva una sua pagina su Facebook, una delle piazze virtuali più popolari. Quella pagina, con la sua foto, continua ovviamente a “vivere”. Così come quel riferimento cronologico da brividi che incontri leggendo, “Alessio ora è amico di Flaminia Giordani”, la sua fidanzata reale, morta con lui. Succede. Ognuno di noi, specialmente i più giovani, lascia una traccia del suo passaggio su Internet: può essere un blog, può essere Myspace o Facebook. E quella traccia, con i pensieri e le foto, una frase divertente o un racconto, una battuta o una playlist, resta lì per sempre. «Ed è sbagliato chiamarla realtà virtuale, è un nuovo punto di riferimento. Anche della memoria», osserva il professor Paolo De Nardis, ordinario di Sociologia alla Sapienza.
Altri esempi. Dj Gabbo, vale a dire Gabriele Sandri, il tifoso della Lazio ucciso da un proiettile sparato da un poliziotto. Era un ragazzo dai molteplici interessi, un dj affermato. Aveva una pagina su Myspace, lì ci sono i filmati, c’è la sua musica. Ancora oggi, a quasi otto mesi dalla sua morte, i suoi amici lasciano messaggi. Non solo per chiedere giustizia, ma anche per ricordarlo. Allo stesso modo in cui si portano fiori su una tomba. Solo che questo è un cimitero virtuale. Alcuni degli ultimi messaggi: «Divertite come hai sempre fatto, noi ti ricorderemo sempre così...un abbraccio», «...stai a sonà???.je stai a mette un po’ di musica...». Altro punto d’incontro virtuale, altra pagina su internet. «Sono un ragazzo intelligente con molta voglia di fare»: si presenta così Alessando Mioni, 23 anni, la sua foto sorridente. Alessandro è morto nel gennaio scorso in un incidente con lo scooter, sul Lungotevere, travolto anche lui da un automobilista imprudente. Anche in questo caso, una pagina web continua a raccontarlo, a ricordarlo. Spiega Vanessa, 26 anni, con una finestra su Myspace e una su Facebook: «Un po’ mi spaventa: tocchiamo ferro, ma se dovesse succedermi qualcosa, resteranno per sempre queste pagine, potranno essere visitate da chiunque...». In realtà è il rischio o la sfida che ognuno di noi accetta quando lascia una sua traccia su internet: può essere Myspace, può essere un messaggio su un forum, può essere l’iscrizione a una community o a un sito in cui si cerca l’anima gemella. Spargiamo una parte di noi sulla rete. A volte in forma pubblica, a volte in forma limitata, vale a dire accessibile solo ad alcuni utenti o ai nostri amici. Ma resta una parte di noi. Un tempo, quando moriva un ragazzo, i cronisti correvano a casa di amici e parenti. Avviene anche oggi, ma quasi contemporaneamente nelle redazioni si comincia la ricerca su Google. Perché spesso si conoscono più cose di una persona seguendo le briciole di vita che ha seminato su internet. Basta ricordare - per fare un altro esempio - il delitto di Meredith a Perugia, quando le pagine web dei protagonisti furono prese d’assalto dai giornalisti. Ma nel caso di Alessio Giuliani, di Gabriele Sandri, di Alessandro Mioni, solo per parlare di tre sfortunati ragazzi romani, ciò che si osserva è la manifestazione di una sorta di “cimitero virtuale”. Analizza ancora il professor Paolo De Nardis: «I giornali e le tv sono soliti parlare del rapporto fra i ragazzi e internet raccontando solo la parte negativa, estremizzando le degenerazioni. In realtà c’è molto altro, molto più spesso il rapporto che i ragazzi hanno con la rete è positivo. E i blog sono quasi una forma superata, più popolare cinque-dieci anni fa, forse più elitaria. Era una forma antesignana di fenomeni molto più diffusi come Facebook e Myspace. Diciamo che i blog erano un po’ come i primi telefonini rispetto ai cellulari di oggi, così diffusi». Chiaro. Ma perché i ragazzi hanno così forte il desiderio di crearsi un’identità e una vetrina su internet, di appartenere a una comunità esponendo le proprie foto, la propria storia, parte della propria vita? «Semplicemente perché in questo modo si semplificano le comunicazioni. Si superano le difficoltà logistiche ed economiche. E s’intellettualizzano i rapporti. C’è il desiderio di appartenere a una comunità, ma è un fenomeno positivo, in fondo queste piazze virtuali diventano un lobo in più del nostro cervello. Si ampliano le possibilità di comunicare. Ancora: siamo certi che sia giusto definire tutto questo con l’aggettivo virtuale? Spesso c’è molta più realtà che nei rapporti quotidiani». E si arriva all’estremo dei cimiteri virtuali. «Vero, ma non è una cosa di per sè negativa, anzi diventano un luogo della memoria, con un filo rosso che unisce chi è deceduto alla sua comunità. Un tempo, noi intellettuali dicevamo che ciò che resta, dopo la morte, sono le nostre opere, i nostri prodotti culturali. Oggi c’è un intellettualizzazione dei rapporti. Oggi tutti lasciano tracce scritte sul computer». Ed è bello ricordare un ragazzo anche per i suoi appunti su Myspace o le sue foto sorridenti della vacanze su Facebook. Perché questo fa la maggioranza dei giovani su internet, racconta e vive - parte - della proprita vita. Gli estremi dei filmati di bullismo e di pornografia amatoriale lanciati su Yotube o su Emule sono, appunto, estremi. La vita e la morte, anche su Internet, è altro.

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