sabato 25 aprile 2015

i corti che escono su move magazine 27/ applausi

copia e incolla da move magazine

di Mauro Evangelisti


Applausi
Il carabiniere lo guarda annoiato. Patente e libretto. Paolo deglutisce, avverte l'amaro rancido dell'alcol, spera che la pattuglia non abbia l'etilometro. Ma il panico sale perché non sa dove i genitori tengano il libretto. E non può telefonare ai suoi perché non sanno che ha preso la loro macchina. Lo credono impegnato a studiare per l'ultimo esame prima della tesi di laurea. I suoi sono a Salerno, ai funerali di uno zio. Il padre non gli avrebbe mai permesso di prendere la sua auto, ma Paolo agli amici, e soprattutto a Flavia, voleva mostrare la Bmw, non la Panda. Immenso casino, pensa. Apre il cassetto laterale: vuoto. Panico, suo padre lo tiene in casa e lo prende solo le rare volte in cui esce con la Bmw. Panico vero, l'alcol gli impedisce di dire cose sensate. Passa una Golf nera, veloce, il carabiniere sì volta, la vede sbagliare la curva, sbandare, finire contro un muretto. Prenda, vada, dice a Paolo. Chiama un'ambulanza, urla al collega. Paolo torna a casa, vomita. Sei mesi dopo Paolo alza un calice con lo spumante, il padre gli stringe la spalla con una mano tenaglia. La mamma ride, una decina di parenti applaude. «A mio figlio, il futuro avvocato, mica un muratore come me». A bassa voce una cognata a un'altra cognata: «Muratore? Ha costruito mezza città». «Sarà pieno di soldi, ma muratore rimane; il figlio no, il figlio è un'altra pasta, diventerà un avvocato di quelli tosti». Le due cognate tacciono per ascoltare il padre di Paolo: «Mi hai fatto solo un torto, impedirmi di assistere alla discussione della tesi». «Ma babbo ti facevi 500 chilometri per nulla». «La verità è che 'sta timidezza la dovrai superare quando sarai un grande avvocato. Per quello che so io, potrebbe essere che neppure ti sei laureato». Il padre ride, la madre ride, i parenti ridono, Paolo ride. Perché spiegare che non ha mai tentato neppure un esame?
Dieci anni dopo Paolo guida l'impresa del padre. I genitori sono morti da sei anni. Paolo guarda negli occhi una giornalista: «Falliti? Crisi? Ma chi le passa queste informazioni? Gli stipendi questo mese non sono stati pagati per un disguido nel trasferimento dei fondi e tra una settimana sarà tutto sistemato. Anzi, concederò un premio ai dipendenti, per la pazienza che hanno avuto. Questo lo vede? È un contratto firmato in Spagna per la costruzione di un ponte. È un'opera da cento milioni. Siamo in una città di provincia, piena di invidia». «Dottore, da sei mesi i dipendenti non ricevono lo stipendio. E le banche le hanno chiuso i rubinetti». «Meschinità, io lavoro con banche internazionali. Ha visto il video dell'altro giorno dei lavoratori che mi applaudivano, quando ho detto loro che stavano partendo i bonifici? Ma lo vede questo contratto?». «Sembra un'opera importante». Se la giornalista guardasse con più attenzione, vedrebbe che Alicante è scritto con due elle e che si tratta di un testo tradotto con Google translate. Paolo stringe la mano alla giornalista, con la vecchia Bmw lasciatagli dal padre raggiunge l'aeroporto. I pochi soldi rimasti sono in Brasile. Chiama Samanta, l'ex segretaria per la quale ha lasciato la moglie e con la quale quattro anni fa ha avuto un figlio. «Tesoro, sì lo so, dovevo passare ieri, ma il lavoro... Senti vengo domattina, prepara Giovanni, andiamo a Parigi, a Disneyland. Non scherzo, voglio trascorrere un po' di tempo con voi». Paolo spegne il cellulare, l'aereo sta per decollare. Verso Rio de Janeiro.
Quindici anni dopo Paolo torna in città. Molti lo hanno dimenticato, i vecchi dipendenti si sono messi il cuore in pace. Giovanni ha 17 anni e gioca come terzino nelle giovanili della squadra cittadina, che però ha finito i soldi. La prima squadra è in Lega pro, ma non riuscirà a iscriversi al Campionato. Paolo racconta a Giovanni, a cui non aveva mai parlato, a Samanta e ai vecchi amici che in Brasile l'economia è un treno, che in Italia se ne andava tutto in tasse e là invece è milionario. «Tranquilli, la squadra la prendo io, la porto in A in tre anni». Tre mesi dopo, il campionato sta per cominciare, Paolo ha preparato uno squadrone. In città c'è chi dice che ha rifilato solo assegni a vuoto. Lui ride, pensate sia facile trasferire in poco tempo molti soldi dal Brasile? Venite domenica al teatro, presento il nuovo colpo, il brasiliano, quello che quattro anni fa giocava in nazionale, è un mio amico. Al teatro ora c'è tutta la città. La stella brasiliana non è arrivata e Paolo sa che non arriverà mai, non ci ha mai parlato in vita sua. Sa che non ha un più un euro neppure in Brasile, sale sul palco con il microfono in mano, tutti lo applaudono. Come Flavia quando vide la Bmw, come i parenti alla festa di laurea, come i dipendenti quando disse che erano partiti i bonifici, come Samanta quando le disse che andavano a Disneyland, come il figlio quando gli ha annunciato che comprava la squadra. Vive per questi applausi. Ora deve dire qualcosa, spiegare perché la stella brasiliana non c'è. Paolo spera sempre che una Golf finisca contro un muretto.

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